venerdì 28 febbraio 2014

Senza glutine: pane, torte e biscotti

Da quando ho scoperto che Binotto è celiaco e allergico al grano, oltre che all'uovo, ho cominciato ad organizzarmi per consentirgli di continuare a mangiare con gusto (su questo potrei scrivere un libro, ma sorvoliamo...).
Oltre a consultare siti e blog, ho cercato libri e pubblicazioni che fornissero ricette per preparare cibi buoni con ingredienti naturali.

Uno di quelli che più mi ha colpito è Senza glutine: pane, torte e biscotti, Antonio Zucco, Terra Nuova Edizioni, soprattutto perché si concentra sui cibi che maggiormente mancano ad una persona che si trova a rinunciare al glutine.

Immagine presa da qui

Antonio Zucco è uno chef di Cuneo che, scopertosi intollerante al glutine e al lattosio, ha ideato ricette prive di questi ingredienti e le propone anche nel ristorante torinese nel quale lavora.

Il libro è composto di una parte introduttiva, nella quale l'autore parla di intolleranza a glutine e lattosio, oltre a presentare ingredienti e tecniche per preparare pani e dolci gustosi anche senza grano.
Segue un nutrito numero di ricette di pane (anche con pasta madre gluten free), dolci, focacce, pizze e piadine varie.


Ho rivolto ad Antonio Zucco alcune domande.

Nel libro dici di aver scoperto di essere sensibile al glutine e intollerante al lattosio. Come hai fatto? Qual'è stato il tuo percorso?

A.Z. La scoperta a questo tipo di intolleranze è avvenuta per caso. Erano oramai diversi anni che accusavo disturbi come depressione e sbalzi di umore: pur essendo in cura la situazione non migliorava molto. Casualmente venni a conoscenza, su un opuscolo informativo dell’AIC, che il glutine poteva dare problemi di depressione, provai così a sospenderne il consumo per 15 giorni. Notai qualche miglioramento. Intanto, approfondendo il tema relativo alla relazione tra alimentazione e salute, appresi che anche il latte e i suoi derivati potevano creare questo tipo di problemi, così sospesi anche l’assunzione di latte. Dopo poco meno di un anno ero come rinato.

Come si può convivere con queste problematiche, specialmente la celiachia che dura tutta la vita, senza rinunciare al gusto?

A.Z. Non è un problema, anzi. Se partiamo dal presupposto che la cucina senza glutine sia meno saporita dell’altra partiamo con il piede sbagliato e con un pregiudizio che condizionerà le nostre scelte in campo alimentare. Sicuramente la preparazione di piatti gluten free in casa e con prodotti freschi è la base per avere un'alimentazione appetitosa e sana, nonché lo stimolo per la riscoperta e il corretto utilizzo di quei cereali e pseudocereali poco conosciuti o dimenticati quali miglio, grano saraceno, quinoa, i vari tipi di riso tra cui l’integrale, il rosso e il Venere.

E' possibile produrre un buon pane senza glutine? Come?

A.Z. Si può produrre un buon pane senza glutine utilizzando farine macinate al momento. Questa è una delle prerogative per ottenere un buon pane. In questo caso è essenziale munirsi di una mulino domestico che consenta di macinare i cereali senza glutine al momento del bisogno. E' chiaro che l'apparecchio dovrà molire solo chicchi gluten free per evitare contaminazioni. Il costo di questo macchinario è sicuramente un piccolo investimento per una famiglia ma si guadagna in salute, gusto e risparmio (le farine di cereali senza glutine già pronte hanno un prezzo nettamente superiore al prezzo del chicco intero).

E per gli amanti della pasta madre? Io ho provato ripetutamente ad allevare una pasta madre gluten free con il tuo metodo, ma non sono riuscita. Qualche dritta? C'è chi consiglia di lasciar riposare l'impasto iniziale senza nutrirlo ogni giorno, ma il mio si è ammuffito...

A.Z. La preparazione del lievito madre è un’operazione complessa che necessità di una certa abilità. Sicuramente le prime volte sarà difficile gestirla. Il periodo più semplice per farla nascere è quello estivo, quando le temperature sono più alte e stabili. Utile ricordare che la pasta madre non ama gli sbalzi di temperatura. L’unico modo è provare e provare finché non si acquisisce dimestichezza.

Dove si possono gustare i tuoi piatti?

A.Z. Attualmente sto lavorando in un ristorante di Torino, Cascina Falchera. Ci stiamo attivando per ottenere l’autorizzazione dalla AIC per servire menù senza glutine ma è comunque già possibile, su prenotazione, avere dei piatti senza glutine e senza lattosio.

Foto gentilmente fornita dall'autore

Dal libro di Zucco io ho già provato alcune ricette.

Facile e buono questo Pane di riso e ceci

Ingredienti:
400 gr farina di riso
200 gr farina ceci
350 ml acqua
20 g lievito di birra
1 cucchiaio di sale fino

Mescolate in un contenitore le farine con l'acqua tiepida in cui avrete fatto sciogliere il lievito e lavorate il tutto per 4-5 minuti. Fate lievitare l'impasto in una ciotola di vetro, incidetene la superficie a croce in modo da facilitare l'operazione e copritelo con un telo di cotone umido.
Lasciatelo riposare per 2-3 ore, quindi lavoratelo nuovamente aggiungendo il sale e sistematelo in uno stampo da plum-cake foderato con carta da forno. Lasciatelo lievitare ancora per 1 ora incidendo la superficie per la lunghezza, coperto con un telo umido.
Cuocete in forno preriscaldato a 190-200° per 50 minuti, quindi sfornate il pane, avvolgetelo in un telo e fatelo raffreddare prima di consumarlo.

Io sono toscana, quindi ho ridotto il sale!

E poi abbiamo provato questi semplici Dolcetti di ceci e riso

Ingredienti (per 12 dolcetti):
200 g farina di ceci
100 g farina di riso
100g zucchero di canna
4 C olio di girasole
150 ml acqua
1 p di sale

Radunate in una ciotola le due farine, lo zucchero, l'olio, l'acqua e il pizzico di sale. Lavorate bene il composto e racchiudendolo fra due cucchiai sovrapposti formateci una dozzina di quenelle che disporrete su di una teglia foderata con carta da forno.
Cuoceteli in forno preriscaldato a 180° per 20-25 minuti, fateli raffreddare e conservateli in un contenitore a chiusura ermetica.

Provate anche voi?

Buon we!
♥♥♥


Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma

mercoledì 26 febbraio 2014

Scelte

Sembra che noi, piccoli umani, abbiamo una spiccata propensione a sentirci prigionieri del dovere, neanche fossimo stati cresciuti ed educati da schiavi. Anche se una bella educazione sciacallo fa la sua buona parte nel farci sentire tali!


In realtà tutto quello che facciamo o non facciamo è frutto di una nostra scelta. Proprio così! E prenderne coscienza aiuta a sentirsi finalmente liberi, padroni della nostra vita e a ritrovare il sorriso.
Non ci credete?

Provate a fare questo bell'esercizio: prendete un foglio A4 e lo piegate in due nel verso della lunghezza.
A sinistra scrivete i primi 10 “devo” che vi vengono in mente. Facile, vero?
A destra trasformate tutti i “devo” in “voglio/preferisco”. Ce la farete?
Attendo i risultati nei commenti.

Questo giochino potrebbe trasformarsi in un piccolo compito quotidiano, finché non sarete riusciti ad estirpare il dovere dalla vostra vita o a sorriderne quando vi saltasse fuori per sbaglio.


Le scelte che noi compiamo ogni giorno sono piccoli mattoncini che costruiscono la nostra vita e il nostro io.
A volte riusciamo a valutarne le conseguenze, a volte no, proprio perché forse ci sentiamo un po' impigliati dentro un percorso obbligato.


Da quando è nato Binotto ho capito che avevo bisogno di ripensare le mie priorità.
Ho scoperto che ero molto più indipendente di quanto avessi mai pensato di essere, ho compreso che non era utile continuare ad aspettare, ho capito che avevo bisogno di stargli vicino per non perdere i momenti magici della sua infanzia, i piccoli progressi di ogni giorno, e ho realizzato che era giunto finalmente il momento di fidarmi di me e di porre la creatività e le mie passioni al centro della mia vita.


Ho fatto tante scelte, piccole e grandi, alcune facili facili altre molto impegnative e faticose. Ed ora so chi sono e chi voglio essere, e mi sento incredibilmente viva e felice!

L'ultima scelta che ho compiuto in questi mesi è stata il part-time verticale.
Lavorerò fino al 30 giugno, poi avrò luglio e agosto liberi. Avrò due splendidi mesi estivi da riempire con Bicci, con il mare, con tanti sorrisi, e con la libertà di lavorare sulle cose che mi interessano veramente.


Qual'è stata la vostra ultima scelta O quella più memorabile?


Buonissima giornata a voi!
♥♥♥ 



Ps: colgo l'occasione di ringraziare Fabiola del blog pinkgok.blospot.it che domenica scorsa mi ha assegnato un premio

lunedì 24 febbraio 2014

Educare con la Comunicazione Nonviolenta

Educare con la Comunicazione Nonviolenta”, Marshall B. Rosenberg, Esserci Edizioni, Reggio Emilia, 2010, tratto da una conferenza tenuta da Rosenberg a Reggio Emilia, è un piccolo grande libro: piccolo nelle dimensioni ma grande per la portata innovativa del messaggio che veicola.

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La CNV, Comunicazione Nonviolenta, è un protocollo di comunicazione che può essere applicato in maniera proficua in ogni contesto sociale, al fine di instaurare rapporti empatici e collaborativi. Utilizzata in ambito educativo/familiare la CNV aiuta anche a promuovere il cambiamento di comportamenti indesiderati senza ferire la dignità delle persone ma, al contrario, donando loro ascolto profondo e comprensione.

Quindi la CNV è un linguaggio della vita, si occupa di ciò che c'è di vivo in noi, senza criticare l'altro.”

Rosenberg distingue due modi di esprimersi: il Linguaggio Sciacallo e il Linguaggio Giraffa. Il primo è quello scollegato dalla vita e dalla gioia di donare: utilizza premi e punizioni, senso di colpa e vergogna, esprime giudizi e offende per manipolare il comportamento delle persone distruggendo la possibilità di una cooperazione spontanea e armoniosa.

Il secondo, chiamato così perché la giraffa è l'animale terrestre con il cuore più grande, consente di rivolgersi agli altri senza criticare e senza insultare, con un linguaggio e un'attenzione che si prefigge la costruzione di una comunicazione win-win, nella quale trovano soddisfazione i sentimenti e i bisogni di tutte le persone coinvolte.

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Ai due linguaggi corrispondono due analoghi modi di ascoltare. Rosenberg, infatti, fa notare che il modo in cui noi recepiamo il messaggio del nostro interlocutore è sempre funzione di una nostra scelta, di una nostra interpretazione o diagnosi. Secondo il modello della CNV sarebbe più utile esercitarsi nell'imparare a cogliere nel messaggio dell'altro sentimenti e bisogni in modo da comprenderli e accoglierli, al fine di aprirsi alla vita e alla gioia di donare che la stessa porta con sé.

Il Linguaggio Giraffa consta di 4 passaggi:
  1. fare osservazioni chiare, che significa descrivere fatti sforzandosi di non interpretarli e non esprimere giudizi o critiche;
  2. esprimere i nostri sentimenti in una data circostanza;
  3. esprimere il nostro bisogno, quello che vorremmo sentir soddisfatto;
  4. formulare una richiesta chiara, utile al soddisfacimento del bisogno espresso.

Ci sono aspetti del nostro modo di esprimerci di cui non abbiamo coscienza, perché, come afferma Rosenberg, buona parte di noi è stato educata con il Linguaggio Sciacallo, per cui riuscire a comunicare secondo la CNV presuppone lo sforzo di abbandonare il vecchio modo e ricostruire una modalità comunicativa non violenta mettendo in pratica i passaggi indicati.

Se questo inizialmente può apparire un po' meccanico ed artificioso, con l'esercizio si acquisisce scioltezza e naturalezza.

Io credo che la chiave di volta per riuscire a mettere in pratica questa tipo di comunicazione stia nel porsi una domanda molto semplice: che cosa voglio da questa situazione/persona?
Vedrete che tutte le volte che sentirete il bisogno di instaurare rapporti autentici e profondi, nei quali le persone si sentano collegate a livello del cuore, la CNV sarà la carta vincente. Ma lo sarà anche quando troverete sufficiente mantenere un clima sereno e collaborativo, come a lavoro ad esempio.

Il filosofo Krishnamurti [...] afferma che la forma più alta di intelligenza umana è la capacità di osservare senza valutare, la capacità di essere specifici sulle cose che non ci piacciono, senza mescolare diagnosi.
Questo è molto difficile per me e per altre persone alle quali è stato insegnato a parlare Sciacallo, perché il nostro modo di pensare molto facilmente trasforma i fatti in diagnosi”.

Sono andato a scuola per 21 anni, non riesco assolutamente a ricordarmi di una sola volta che mi sia stato chiesto come mi sentivo, sono andato a scuole sciacallo e lì non interessava sapere quali erano i sentimenti dei ragazzi. L'unico gioco era quello di sapere cosa l'autorità, il capo riteneva fosse giusto. E ho imparato bene a svolgere quel ruolo, non è poi tanto difficile imparare quel gioco, basta essere una persona morta, una bella persona morta, scollegata dai propri sentimenti e vivere semplicemente qui, nella testa, cercando di fare quello che le persone, d'autorità, pensano sia giusto che tu faccia”.

Essere liberi richiede la consapevolezza di ciò che proviamo [...] Ci richiede poi un'altra cosa, ci richiede di sapere perché ci sentiamo nel modo in cui ci sentiamo. Non vogliamo rimproverare gli altri per i nostri sentimenti”

Tutte le volte che siete arrabbiati [...] In qualche modo state giudicando che l'altra persona è sbagliata.
Tutte le volte invece che vi sentite depressi, in colpa o provate vergogna, vedrete dei pensieri sciacallo diretti contro di voi.”

Ci colleghiamo alla vita attraverso i bisogni [...]
Quando siamo collegati al livello del bisogno, i bisogni di entrambi possono essere soddisfatti”.

Quando parliamo il Linguaggio Giraffa vogliamo essere molto onesti, senza criticare, senza insultare: è il linguaggio del cuore. Riveliamo onestamente quello che c'è nel nostro cuore, senza usare nessuna parola che implichi che c'è qualche cosa di sbagliato nell'altro.”

Viviamo in un mondo dove l'80% della popolazione parla sciacallo”.

Il sistema scolastico sciacallo etichetta gli studenti. In quelle strutture si pensa che alcuni studenti siano intelligenti, che altri siano stupidi, che alcuni siano normali, che altri siano socialmente ed emotivamente disturbati.

A molti la CNV potrebbe sembrare un esercizio di dialettica ma non lo è.
E' invece un invito a riposare, a guardare il mondo con occhi bambini , con lo sguardo sereno e pulito dell'amore.

Una comunicazione che viene dal cuore, che si focalizza sui bisogni di ciascuno, permette alle persone di aprirsi vicendevolmente e di aver voglia di cooperare. E in un ambiente dove c'è cooperazione si impara davvero, perché l'alunno è messo al centro, con i suoi sentimenti e con i suoi bisogni.
Di fondamentale importanza, a coronamento di questo processo, è esprimere sincera gratitudine per quello che di buono l'altro ha portato nella nostra vita.

Ma pensate che meraviglia se, insieme ai programmi ministeriali, agli insegnanti venisse imposto di rivolgersi agli alunni con un linguaggio di questo tipo?
E se questa fosse la forma di comunicazione adottata nei contesti lavorativi?
Riuscite ad immaginare quanta violenza in meno ci sarebbe nel mondo e come saremmo tutti più rilassati e felici?

Ho parlato di Rosenberg e CNV anche qui e qui.

Buonissimo lunedì a voi!




mercoledì 19 febbraio 2014

Il circo degli animali.

In una riunione convocata mercoledì scorso, le due educatrici della scuola dell'infanzia frequentata da Binotto ci hanno comunicato il tema della festa di carnevale, a cui i genitori non saranno ammessi: il circo degli animali.

Ai bambini della classe di mio figlio sono stati assegnati questi ruoli: 2 majorettes, 2 clown, 1 domatore, 6 tigri, 6 cavalli, 6 scimpanzè e 6 elefanti.

Con determinata educazione ho detto che a me il tema sembrava inopportuno, dal momento che i circhi con animali sono luoghi di sofferenza, nei quali le bestie vengono private della libertà e maltrattate al fine di ottenere il comportamento voluto dall'umano, palesemente innaturale per la loro specie.

La totalità degli altri genitori presenti ha replicato che i bambini di tre/quattro anni non capiscono, al limite ci si poteva porre il problema se avessero avuto sette anni!
Nessuno ha provato a smentire tale affermazione, e una delle educatrici ha detto che i circhi li conoscono tutti e al circo il domatore c'è.

La stessa sera ho deciso di scrivere alle maestre per ribadire la mia posizione e ho chiesto: “quando un bambino vorrà sapere che cos'è un domatore, voi cosa risponderete? Qual'è l'insegnamento che volete trasmettere con questa scelta?”

Personalmente cerco di crescere mio figlio nella consapevolezza della pari dignità degli esseri viventi: umani e animali hanno lo stesso diritto di cittadinanza su questa terra e non c'è posto per abusi, costrizioni e violenze. Mai.
Vorrei che la scuola insegnasse almeno questo: pari dignità, rispetto e pacifica collaborazione.

Un bambino di tre/quattro anni ha la capacità di capire quello che gli si spiega, eccome!
Io vorrei che nel panorama culturale di mio figlio le figure come i domatori fossero inscritte tra quelle che non ci piacciono, perché creano sofferenza ad altre creature.
I bambini possono ben capire che gli animali sono liberi, come le persone. Ed è solo nella libertà che gli esseri viventi mantengono integra la propria dignità.

Ho parlato con entrambe le educatrici prima e dopo la lettera, non ho ricevuto alcuna risposta scritta, ma hanno cambiato il nome del domatore: ora è un presentatore, che introdurrà la sfilata degli animali!


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Qui trovate il link alla brochure diffusa dall'Enpa per lottare contro la presenza degli animali nei circhi: 
Pensaci un attimo. Un posto in cui gli animali sono tenuti prigionieri, sottratti alle loro famiglie e spesso lontani dai loro simili, in un ambiente repressivo della loro natura di creature selvatiche, è un posto in cui un bambino può imparare qualcosa di buono?”

Questa è la normativa di legge sugli spettacoli viaggianti, circhi compresi, in Italia.

Questo è il Codice Penale a proposito di maltrattamento di animali.

Lo Stato Italiano assegna contributi in denaro agli spettacoli viaggianti, circhi compresi.

lunedì 17 febbraio 2014

Del perché la scuola non coltiva la creatività

Sir Ken Robinson afferma che la scuola uccide la creatività!

Nel video che trovate a fondo pagina Sir Ken Robinson, noto esperto mondiale di creatività e modelli educativi, si dice convinto che “la creatività è tanto importante quanto l'alfabetizzazione”.

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I bambini sono estremamente creativi ed innovativi, ma lo sono perché “si buttano. Se non sanno qualcosa, ci provano. Non hanno paura di sbagliare.”
Questo è il punto cruciale: non aver paura di sbagliare ci consente di osare e trovare nuove strade.

Purtroppo crescendo i ragazzi diventeranno adulti terrorizzati dall'idea di sbagliare, perché “abbiamo sistemi nazionali d'istruzione dove gli errori sono la cosa più grave che puoi fare. E il risultato è che stiamo educando le persone escludendole dalla loro capacità creativa”.

Infatti se non sei pronto a sbagliare, non ti verrà mai in mente qualcosa di originale”.
Se tu hai perduto la tua capacità di buttarti, non riuscirai mai a trovare la tua strada, quella che va bene per te soltanto.

Fin dalla scuola primaria si danno voti a quello che un bambino fa, si misura in numeri la sua partecipazione alla vita scolastica, e non importa quanto bello sia quello che nasce dalla sua freschezza e originalità. Quello che importa è che sappia fare ciò che il programma ministeriale ha stabilito che dovrà imparare a fare in un tempo X assegnato a priori, un tempo uguale per tutti.
E chi sta fuori da quel tempo sarà non adeguato, sarà deficitario, sarà etichettato.
Io trovo tutto questo incredibilmente strano e surreale. E' come aver la pretesa di allevare polli in batteria!

I bambini, con la loro capacità di improvvisazione e la creatività innata di cui sono dotati, sono maestri ed esempi da imitare per mantenere vivo in ognuno di noi quel guizzo vitale che fa la differenza.
L'apprendimento dei bambini passa attraverso il fare e il toccare con mano propria la realtà, ecco perché il gioco è una delle modalità principe di autoeducazione dei piccoli.

Sir Robinson spiega che non si può diventare creativi, ma si può smettere di esserlo, grazie ad un sistema educativo che stigmatizza l'errore e divide il mondo in giusto o sbagliato.

Peter Gray sostiene che “Non si può insegnare la creatività, ma la si può sottrarre alle persone attraverso un percorso scolastico che non sia centrato sulle domande dei bambini ma sulle domande dettate da un programma imposto, che procede come se tutte le domande avessero una sola risposta giusta e ognuno dovesse imparare le stesse cose. (fonte: qui)

Personalmente ho sempre diffidato di chi si sente depositario di verità assolute, ho sempre contestato i dogmi scolastici ed ho avuto la fortuna di incontrare insegnanti interessati più a quello che io pensavo e a come vedevo le cose piuttosto che a sentirmi ripetere una lezione a nastro. Ma sono stata fortunata!

Quello che si paga oggi è il peso di un'omologazione che non ha più alcun motivo di esistere, che danneggia noi e ancor più i nostri figli, costretti a soffocare i propri talenti a causa di metodologie asfittiche.

A scuola ci sono materie di serie A e di serie B: “Ovunque nel Mondo ogni sistema d'istruzione ha la stessa gerarchia di materie. Al vertice ci sono le scienze matematiche e le lingue, poi le discipline umanistiche e in fondo l'arte.”
Inoltre esiste una gerarchia nelle arti. L'arte figurativa e la musica occupano una posizione più alta nelle scuole rispetto a recitazione e danza.”

Considerato che quando siamo bambini intrisi di creatività si impara principalmente attraverso il corpo e la memoria corporea (pilastri su cui si basa anche il Metodo Montessori), viene spontaneo chiedersi perché le scuole non si occupino della fisicità degli studenti.
Non esiste sistema educativo sul pianeta che insegni la danza ai bambini ogni giorno, così come insegniamo la matematica. Perché?
Credo che la matematica sia molto importante, ma altrettanto la danza. I bambini ballano tutto il tempo se possono, noi tutti lo facciamo.
Abbiamo tutti un corpo, o no? Mi sono perso qualcosa?
In verità, ciò che succede è che, quando i bambini crescono, noi iniziamo ad educarli dalla pancia in su. E poi ci focalizziamo sulle loro teste. E leggermente verso una parte.”

Secondo Ken Robinson un alieno in visita sulla Terra sarebbe portato a pensare che tutto il nostro sistema educativo serva a formare professori universitari, rispettabilissime persone tutte concentrate nella loro testa e dissociate dal loro corpo.

Il nostro sistema educativo fu pensato per formare persone adatte al lavoro e per conseguire l'accesso all'università.
Ma tutto questo poteva andar bene finché avere un titolo universitario equivaleva a trovare un lavoro. Adesso non è più così e continuare a stigmatizzare errori significa sprecare bei talenti, mettere fuori strada persone che forse non avranno più la fortuna di ritrovarsi.

Ken Robinson definisce la creatività come “il processo che porta ad idee originali di valore. Si manifesta spesso tramite l'interazione di modi differenti di vedere le cose”.

In un passaggio molto interessante Sir Robinson racconta la storia di Gillian Lynne, coreografa di fama mondiale autrice di “Cats” e “Phantom of the Opera”.
Quando Gillian aveva otto anni gli insegnanti della scuola scrissero ai genitori affermando che la bambina aveva problemi di apprendimento. “Non era capace di concentrarsi, diventava nervosa. Oggi direbbero che ha l'ADHD (Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività). Ma siamo attorno al 1930 e l'ADHD non l'avevano ancora inventata. Non era una condizione disponibile allora. La gente non sapeva che poteva averla”.
In ogni caso la madre la portò da uno psicologo che, dopo averla osservata, consigliò alla donna di iscrivere la figlia in una scuola di danza. E questo ha cambiato il corso della sua vita: ha reso possibile la realizzazione del suo talento e la sua felicità di potersi finalmente sentire libera di essere quella che era, accettata e rispettata nella sua peculiarità.
Del resto Gillian Lynne è stata molto fortunata, perché “Un altro le avrebbe somministrato qualche farmaco e detto di calmarsi”.

Infine Robinson conclude che, a suo modo di vedere, “la nostra unica speranza per il futuro è di adottare una nuova concezione di ecologia umana, nella quale cominciare a ricostruire la nostra considerazione della ricchezza delle capacità umane.
Il nostro sistema educativo ha sfruttato le nostre teste come noi abbiamo sfruttato la terra: per strapparle una particolare risorsa. E per il futuro non ci servirà.
Dobbiamo ripensare i principi fondamentali sui quali educhiamo i nostri figli. Dobbiamo fare attenzione ad usare il dono dell'immaginazione umana saggiamente...
E lo faremo solo se sapremo vedere le nostre capacità creative per la ricchezza che sono e se sapremo vedere i nostri figli per la speranza che sono.
Il nostro compito è di educarli nella loro interezza affinché possano affrontare il loro futuro.
Forse noi non vedremo questo futuro, ma loro si.
E il nostro compito è di aiutarli a farne qualcosa.”




Tutte le citazioni, dove non diversamente segnalato, sono tratte dal video di Sir Ken Robinson.

Bibliografia:
The Element”, Ken Robinson, Mondadori, ottobre 2012
Give childhood back to children: if we want our offsprings to have happy, productive and moral lives, we must allow more time for play, not less”, Peter Gray, The Indipendent, 12 gennaio 2014 link

Il segreto dell'infanzia”, Maria Montessori, Garzanti Elefanti, 2007 

venerdì 14 febbraio 2014

Senza titolo

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Aprire la copertina di “Senza titolo”, Hervé Tullet (chi, se non lui?), Franco Cosimi Panini, 2013, è come sbirciare dentro un teatro chiuso al pubblico, quando gli attori si scaldano in attesa che le prove o lo spettacolo abbiano inizio.
E' come avventurarsi in un luogo intimo, in questo caso nel bel mezzo del procedimento creativo che darà vita a un libro.

Appunto perché qui di libro ancora non si parla, Tullet stesso lo definisce un non-libro, un'opera in divenire insomma.

Poiché la cosa bella dei libri è che basta disegnare degli oggetti perché questi esistano, i personaggi, appena tratteggiati e non completati, stanno giocando tra loro quando si accorgono che qualcuno li sta osservando.
Gioia e preoccupazione agitano i loro animi di carta, provano ad intrattenerci, a spiegarci che la storia non è ancora pronta, il libro non ancora terminato ma, siccome noi ci ostiniamo ad osservarli, si risolvono a chiamare in scena – è proprio il caso di dirlo – l'autore in persona. Che pensi lui ad approntare una storia!




Tullet rende il suo personaggio con una foto tessera applicata sul suo corpo tratteggiato a matita come quello delle altre creature: trovata a mio avviso geniale, perché lui è finito si, insomma creato a tutto tondo, ma ahimè in preda ad una tensione creativa che non ha ancora trovato la sua manifestazione compiuta.
Il resto lo scoprirete da voi.


Le illustrazioni del libro ricordano i disegni in divenire del quaderno di un bambino, tanto che viene voglia di colorare e aggiungere dettagli, completare a piacere alcuni particolari.
Un libro gioco insomma perché, spiega Tullet, “Ciò che rende un albo illustrato un buon libro è il fatto che vi si possa prendere parte”.

Qui il trailer del libro:



qui uno spettacolo tratto dal libro.

Consigliato dai 4 anni.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma

Buon we!

mercoledì 12 febbraio 2014

Io non voglio un figlio obbediente!

A un figlio obbediente preferisco un figlio che ragioni con la propria testa e comprenda il motivo delle mie richieste. Voglio un figlio che accetti di fare quello che gli sembra ragionevole e rifiuti il resto.
E' e sarà complicato, lo so.
Il lato positivo è che cresceremo insieme.
Inoltre credo che questo lo metterà al riparo, almeno in parte, da varie forme di abuso da parte di adulti.

Io preferisco che mio figlio cresca con la consapevolezza di poter scegliere. Sono certa che questa responsabilità farà di lui una persona fornita di una sana autostima e di fiducia in se stesso.


Il bambino è competente” di Jesper Juul, Saggi Universale Economica Feltrinelli 2009 (da cui sono tratte tutte le citazioni di questo post), è un libro nel quale ho trovato la giusta enunciazione di alcuni concetti che mi ronzavano nel cuore.

Juul afferma che “Fin dalla nascita i bambini sono persone complete, cioè sono sociali, collaborativi e pronti a comunicare. Queste qualità […] sono innate. D'altra parte, perché queste qualità si sviluppino, i bambini hanno bisogno di vivere con adulti che si comportino in maniera da rispettarne e modellarne il comportamento sociale e umano.” E questo può avvenire soltanto con l'esempio, l'accettazione, il rispetto e il dialogo.

Molti genitori continuano a credere che i figli debbano 'imparare a obbedire', nonostante il fatto che questa aspettativa generi quasi sempre 'disobbedienza' […] Questo perché noi recepiamo come offensivo e poco dignitoso il dover obbedire a un ordine quando siamo più che disposti a collaborare.”

L'alternativa ad imporre ordini sta nell'essere disponibili al dialogo, “un dialogo aperto e personale che tenga conto dei desideri, dei sogni e delle necessità sia dei figli che dei genitori.”

Altra qualità da affinare è l'elasticità.
Ma chi ha mai deciso che una cosa si fa in un modo piuttosto che in un altro? Non siamo forse tutti diversi?
Io credo che ogni famiglia abbia bisogno di sviluppare la propria personale forma di convivenza, tenendo presente che dove c'è rispetto reciproco ci sarà anche il piacere di collaborare.

Ciò che più mi spaventa in alcune persone adulte è la smania di insegnare qualcosa ai bambini, l'incapacità di osservare e ascoltare. E imparare, anche.


E voi vorreste un figlio obbediente?

lunedì 10 febbraio 2014

La gratitudine

Osservare i bambini è il modo migliore per ritrovare la gioia di vivere, per recuperare il sorriso perduto in una giornata troppo piena.
Guardare il mondo dal loro punto di vista aiuta a vedere il quotidiano con occhi diversi e goderne.
Le parole chiave sono due: meraviglia e gratitudine.


Provare meraviglia per i piccoli doni della vita presuppone l'attitudine a non dare mai niente per scontato e la disposizione ad essere felici, e grati, per quello che c'è: il sole al risveglio, il viso gioioso del vostro piccolo, la casa calda e accogliente, un lavoro o il tempo libero. Esserci!

Provate a scrivere 10 cose di cui siete grati.

E ricordate di sorridere.
Oltre ad avere una sana ricaduta sulla psiche e sul corpo, il sorriso è contagioso: più sorridete più persone sorrideranno a voi. Non è magnifico?


Uno degli esercizi che propongo nei miei laboratori è quello di camminare, incontrare lo sguardo di un compagno e sorridere. Poi abbracciare quella persona come se non ci si vedesse da una vita. In silenzio, senza parole.
Re-imparare ad incontrare l'altro con il corpo fa sentire le persone più leggere e felici.

Adesso concentratevi sul vostro respiro. E' qualcosa a cui non facciamo caso generalmente, eppure il respiro ci tiene in vita.
Provate a mettere tutta la vostra attenzione nei momenti del vostro respiro: inspirazione ed espirazione. Fate in modo di essere voi stessi il vostro respiro.
E' uno strumento utilissimo anche per allontanare ansia e stress ed è la principale forma di meditazione del buddismo zen.


Per finire propongo di godere il video della piccola dolce Kayden, che incontra la pioggia per la prima volta: ha veramente molto da insegnarci.
Che cos'è la pioggia per Kayden? E per voi?


Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi”
Non si vede bene che col cuore.
L'essenziale è invisibile agli occhi.”
Antoine De Saint-Exupéry, “Le Petit Prince


Colgo l'occasione di questo post per ringraziare la gentilissima Carla del blog firmatocarla, che sabato mi ha assegnato un premio.

Buon lunedì!
♥♥♥







venerdì 7 febbraio 2014

Che tempo fa?

Ecco il libro giusto per rompere la monotonia di questa stagione delle piogge: “Che tempo fa?” di Elve Fortis De Hieronymis, le rane interlinea, 2013!

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Si tratta di un albo dalle illustrazioni bellissime, che accompagnano con coerenza la narrazione e nelle quali le figure sembrano collages multicolori composti da forme ben comprensibili dalla sensibilità dei piccoli.

Immagine presa da qui 

Il testo, in rima, è un profluvio di onomatopee, quasi una lunga canzone che attraversa stagioni ed eventi atmosferici insieme ad animali grandi e piccoli.

Una festa per gli occhi e per le orecchie!

Bianca bianca, lieve lieve,
fiocca lenta giù la neve.

Nel silenzio più profondo,
mentre bianco si fa il mondo.
DIN DIN DIN - i campanelli.
TUM TUM TUM – i tamburelli.
Ballan gli orsi mattacchioni,
scende neve e salgon suoni.”

Selezionato e consigliato da Nati per Leggere.

Elve Fortis - immagine presa da qui

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma


e vi auguro un gioioso we!

mercoledì 5 febbraio 2014

Il mio tempo lento: pane svedese e altre storie.

In inverno a me piace molto stare a casa, anche nei week end.
Amo prendermi il tempo per lavorare, per giocare, per studiare, per cimentarmi in imprese che mi sembrano improbabili.
Qui mi sento bene: ci sono io e c'è il mio piccolo.

Il fine settimana è un tempo nostro, nel quale ci gustiamo la libertà di poltrire a letto (e menomale che Binotto è anche più dormiglione di me!), compriamo frutta e verdura fresche o le aspettiamo dal nonno, passeggiamo senza meta (pioggia permettendo...), ci precipitiamo al parco o alle giostre... poi torniamo. E io assaporo la serenità di non correre.

Preparo cibi semplici, pulisco come e quando mi va, una cosa alla volta, senza stress, e intanto ascolto Bicci che inventa storie e parla ad amici immaginari, assaporo il mio silenzio, la mia calma, la mia gioia di stare, l'assenza di aspettative, l'anima placata.
E sorrido.

Sorrido al cielo che mi guarda sempre, alle mie piante che mi donano fiori in pieno inverno in cambio di un po' di calore e attenzioni, sorrido al mio bambino che colora ogni attimo e sorrido al mio viso riflesso nello specchio, finalmente familiare, intimamente mio.

Trovo il piacere di usare le mani, di fare cose antiche che mi fanno sentire viva e connessa con le mie radici femminili.
Ho finalmente cucito - a mano, che non ho macchina, per ora! - l'orlo delle tendine per la finestra di cucina e le ho appese con grande soddisfazione. Pensavo di non esserne capace...


Ultimamente ho portato in casa due bellissime clivie e una piantina grassa che sembra fatta di piccole pietre, e loro fioriscono per me.


Ho fatto un pane facilissimo, che inonda la casa di un'aroma speciale: il pane svedese.
Questa volta ho seguito fedelmente la ricetta (quasi), trovata in “Cuochi si diventa”, Allan Bay, Feltrinelli, gennaio 2007.
Eccola qui:

Per 1 pane della dimensione di un pancarré. Yogurt bianco g 500, 2 cucchiaini di bicarbonato di sodio, 1 cucchiaino di sale, mezzo dl di sciroppo o miele liquido, olio, quanto basta di farina 00 di grano tenero, farina integrale di grano tenero, farina di segale, farina di soia, fiocchi di avena, fiocchi di riso, fiocchi di frumento, fiocchi d'orzo, crusca, varie ed eventuali simili.


Si versa lo yogurt in una ciotola, si aggiunge il bicarbonato e si sbatte con una frusta. Poi si aggiunge il sale, lo sciroppo/miele e l'olio continuando a mescolare, quindi le farine, fiocchi ecc secondo gusto e fantasia. Dovrete ottenere un composto abbastanza solido ma con la “consistenza di una pappetta per galline”. Lo versate in uno stampo da plum cake, lo livellate e fate cuocere in forno a 180° per due ore.
Lasciate raffreddare fuori dal forno prima di tagliare.

Generalmente io uso miele, olio evo, metto poco o niente sale e l'ultima volta ho provato a farlo con farine integrali di riso, miglio e grano saraceno, ovvero completamente gluten free.
Quello che si ottiene è un pane delizioso e profumato, che dura anche tutta la settimana, se non lo finite prima!

Sono tante piccole cose che, singolarmente e insieme, mi donano un piacere speciale, di cui sono profondamente grata.



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