"I bambini ci inviano dei segnali
molto chiari, che noi dobbiamo considerare seriamente, anche se questo è in
contrasto con il modo in cui siamo stati educati o che altri usano per educare
i loro figli". Jesper Juul
"Il principio di una educazione
senza violenza si riassume in tre parole: rispettare il bambino. La messa in
pratica di tale rispetto è anch’essa molto semplice da definire: trattare il
bambino come vorremmo che lui trattasse noi " Olivier Maurel
"Utilizzando un modo di comunicare
fondato sulla chiarezza e sull'onestà, è possibile creare relazioni familiari
basate sul rispetto e sull'arricchimento reciproco." Marshall B. Rosenberg
Ricevo
e pubblico (dietro la sua autorizzazione) l’accorata richiesta di sostegno
della mamma di Giulio, in crisi per l’inserimento al nido:
“Ciao Anna,
ti scrivo perché noi stiamo vivendo
un momento molto particolare...oggi mi sento a pezzi…incompresa e sola...Giulio
ha iniziato ad andare al nido da una settimana ... tra mezzi sorrisi amari e
qualche lacrimuccia fino ad ora non era andata poi così male...ma ieri mi hanno
detto che dopo un'ora il bimbo è andato in crisi e l'ho trovato in lacrime in
braccio alla dada, mentre oggi quando sono andato a prenderlo, dopo il primo
pranzo fuori, stava urlando come mai l'ho sentito fare...ho sentito venire meno
la terra sotto i piedi e devo ancora smettere di piangere!
Avrà senso leggere, documentarsi,
fare di tutto perché avvenga una nascita dolce e perché i primi momenti siano
salvaguardati da traumi e interferenze, continuare a cercare di dare/fare il
meglio, assecondarlo in quelle che sembrano essere le sue esigenze/richieste, e
poi, d'improvviso, affidarlo a dei perfetti estranei, che non fanno altro che
custodire un parcheggio per pargoli?
Ciao....la mail sopra risale a un paio di giorni fa...poi la rete non mi
funzionava e io mi sono persa tra le mie e le sue lacrime e il nostro
dolore...ma da ieri sembra che le cose vadano meglio..così mi dicono le dade. In
effetti non l'ho più sentito piangere come ti spiegavo sopra…ma non sono molto
più tranquilla per vari motivi:
il primo è che non riesco ancora a
fidarmi di loro, e poi perché il fatto che mio figlio smetta di piangere non
vuol dire che sta bene..ma che si è arreso ai fatti, e la cosa non mi fa
sentire molto meglio!
Forse sono un po’ troppo
tragica...però sento il bisogno di chiederti un consiglio:
davanti alla possibilità di avere una
persona amica di famiglia iper-fidata che starebbe con Giulio tre o quattro
mattine la settimana..tu pensi che per un bimbo di un anno sia una soluzione
migliore rispetto ad andare al nido? e poi rimandare l'inserimento a...quando?
l'anno prossimo? oppure provare ad arrivare direttamente alla materna?...ognuno
dice la sua e io sono così confusa! Monica”
Personalmente credo che l’asilo nido
sia una “stortura” della società contemporanea, sia un non-luogo nel quale si
parcheggiano i nostri figli per andare a lavorare, come se prendersi cura di
loro ed accompagnarli nel periodo più importante e critico della loro crescita
non sia un lavoro e un servizio reso alla società intera.
Inoltre non sono affatto convinta che
l’inserimento al nido debba necessariamente passare attraverso il dolore non
ascoltato (!) del bambino e della madre.
Mio figlio, ad esempio, ha tempi lunghi
e io so che sarebbe sufficiente rispettare i suoi tempi per consentirgli
di inserirsi serenamente in un nuovo ambiente con persone nuove, confortato inizialmente
dalla presenza della mamma, per giungere poi ad accettare di salutarla e godere
di quell’opportunità di fare nuove esperienze che gli è offerta. Ma non ho
trovato alcuna struttura che, all’atto pratico, abbia messo in campo questo
rispetto e abbia predisposto una strategia di ambientamento personalizzata.
Quando si forza l’inserimento al nido
attraverso il non ascolto del pianto, del bisogno, del disagio del bambino si
ottiene, forse alla fine, che quel bambino si adatti ad essere lasciato –
abbandonato – in quella situazione, ma non potrà provare vera gioia di starci.
E tutto questo ha un costo sociale piuttosto elevato. Basta guardarsi intorno!
Purtroppo la nostra è una società
basata sul profitto, dove nessuno ha più tempo né pazienza di aspettare
nessuno.
Come si può pensare di far mangiare
un piccolo al nido dopo solo una settimana di “tragica” frequenza?
Sono convinta che sarebbe auspicabile
l’esistenza di un progetto educativo veramente condiviso con la famiglia ed una
reale continuità educativa casa/scuola, ma affinché ciò si possa realizzare
sarebbe necessario sopportare e stimolare la presenza dei genitori dentro le strutture. E non credo che questo si concretizzerebbe in un disagio per i
bambini, anzi.
Vorrei citare alcuni stralci da “La mia lettera all’educatrice di mia figlia” ,
scritta da Silvia, madre di una bambina di due anni e mezzo, reperibile sul
sito nontogliermiilsorriso.org,
ispirato all’opera di Alice Miller:
“Gentile educatrice,
[…]Ripensando al primo ambientamento della nostra bambina in un
nido Montessori, ho pensato che come imparare a nuotare sia una buona metafora.
Spesso sento dire: “Se vuoi che un bambino faccia qualcosa, non
dargli opzioni! Non fargli usare il salvagente se vuoi che impari a nuotare...”
[…]
La gente della mia generazione, una generazione che ha imparato
a nuotare semplicemente venendo spinta nell’acqua alta a 5 anni, spesso odia i
corsi di nuoto – e gli insegnanti di nuoto. […] la gran parte di noi dice: “Mi
piace nuotare, ma per conto mio, niente corsi, per carità!”.
Così ho imparato a chiedermi sempre “Perché? Qual è
l’obiettivo?” […]
Alcuni genitori potrebbero avere l’obiettivo di fare del proprio
figlio un buon nuotatore il prima possibile. Magari vivono vicino a un lago
pericoloso, quindi questa abilità è essenziale per la sopravvivenza. Perciò non
importa a questi genitori forzare il figlio, lasciarlo piangere e gridare: deve
nuotare il prima possibile, a loro non interessa se odierà nuotare, basta che
la sua incolumità sia garantita.
Questo non vale per me: non viviamo “vicino ad acque
pericolose”, quindi proponiamo a nostra figlia di nuotare perché l’acqua è
divertente, è scoperta, ma non abbiamo come obiettivo “il prima possibile”:
potrebbe nuotare con i braccioli fino a 10 anni, se questo è il modo più
divertente e rilassante per lei, perché no?
Una delle ragioni per togliere i braccioli, mi si dirà, potrebbe
essere che le scuole di nuoto hanno regole e standard, perciò se si decide di
iscrivere un bimbo in una scuola di nuoto la famiglia deve accettare queste
regole, altrimenti si deve insegnare da sé a nuotare ai figli. Però più piccolo
è un bimbo, più flessibili queste regole devono essere, quindi una buona scuola
di nuoto deve adeguarsi alla personalità di ogni piccolo allievo e al suo ritmo
personale di crescita.
Ecco, penso che tutto quanto sopra si adatti bene alla scuola in
generale: perché, per esempio, un ambientamento deve durare una, due, tre
settimane? Ma perché una scuola non può avere genitori intorno per mesi? Be’,
se parliamo di bambini sotto i 3 anni (penso, per esempio, all’opera di Mary Ainsworth),
perché non avere genitori intorno se la felicità dei bambini lo richiede?
È un successo se il periodo di ambientamento dura una settimana
anziché due? Significa che il bambino è più indipendente, più flessibile, ha
più fiducia in sé? Non credo. Ricordo cosa lessi in un libro, Genitori con il
cuore di Jan Hunt, che a un certo punto descrive una serra di rose con il
giardiniere che, tutto agitato, cerca di aprire il boccioli e chiude con lo
scotch le rose già fiorite, spiegando che le rose devono fiorire la settimana
successiva, tutte insieme! Tutti penseremmo che è ridicolo, pensando ai fiori,
ma stranamente ci sembra accettabile (anzi, scontato) cercare di fare la stessa
cosa con i bambini.
Uno degli altri “miti” che sento spesso è: “Devi avere fiducia
nel tuo bambino, devi credere che può farcela, quindi (per esempio) non tirarlo
su dalla sua culla anche se piange, altrimenti gli confermi che è un posto
terribile e non hai fiducia che lui possa farcela a stare da solo / non andare
a prenderla a scuola dopo una sola ora solo perché chiama mamma, altrimenti le
dimostri di non fidarti della sua capacità di stare da solo / ecc.” È vero che
un bambino si può adattare a tutto. Ciò non significa che questo tutto sia
sempre la cosa migliore e più felice per lui. Penso di dare molta più fiducia a
mia figlia se le do ascolto quando si lamenta, piange, si oppone a qualcosa
invece di farle pensare che non prendo il suo pianto seriamente. […]
Per agevolare l’ambientamento al nido Montessori, mi è stato
consigliato di distanziarmi da mia figlia anche quando eravamo assieme, in modo
da farle sperimentare che lei era una cosa diversa da mamma, divisa da lei. Non
ho mai seguito questo consiglio (anche se veniva da un’organizzazione educativa
molto apprezzata), anche perché il papà lavorava in un’altra città e la bimba
non poteva vederlo ogni giorno. Cosa le rimaneva della sua famiglia? Volevo
rassicurare mia figlia che volevo assolutamente stare sempre con lei e
tenermela vicina, qualche volta non era possibile […]
Il pediatra William Sears dice che il 90% delle madri da lui
interpellate si sente a disagio con alcuni consigli che vengono dati loro, e
osserva: “Perché preferiamo pensare che il 90% delle madri si sbaglia invece di
pensare che un consiglio, per quanto radicato, sia sbagliato?”
Dopo tutte le nostre esperienze e considerazioni, ciò che
desideriamo per nostra figlia ora è che cresca felice e a suo agio […]Abbiamo
ritenuto che l’opzione di mandare nostra figlia a scuola sia il modo migliore
per […] avere tante persone intorno.
[…]Amiamo pensare che sarà felice di alzarsi al mattino pronta
ad iniziare le sue attività quotidiane (sebbene giorni tristi capitino anche
alle persone più felici) e libera dalla rassegnazione che facilmente prende una
piccola persona più debole soggetta alle decisioni del più forte. La cosa più
bella è immaginare nostra figlia a scuola che ride di cuore come fa spesso a
casa quando giochiamo. Ho anche imparato che, coi bambini, è un passo avanti e
3 passi indietro (omissis)... Così non saremmo preoccupati se, dopo aver
passato la giornata perfetta a scuola, il giorno dopo volesse tornare a casa
alle 10. Non lo vivremmo come un fallimento della scuola, degli insegnanti o di
noi genitori nel fare di nostra figlia una bambina indipendente.”
Spero che questo post apra un luogo di confronto e discussione:
qual è stata la vostra esperienza? Qual è la vostra opinione?
Grazie per i contributi che vorrete gentilmente lasciare.