martedì 15 aprile 2014

Bambini persi

Martedì scorso alle 14,30, come ogni giorno dopo aver finito il lavoro, sono andata a prendere Bicci alla scuola dell'infanzia.
I bambini erano in giardino a giocare.


Suono il citofono, una voce mi chiede chi sono, mi apre il cancello, io percorro il vialetto che mi separa dall'ingresso, firmo il registro di uscita anticipata e aspetto che mi portino mio figlio chiusa fuori da una porta a vetri.
Martedì scorso qualcosa non funziona, io attendo oltre il solito, passano tante persone, le educatrici le bidelle e la signora della mensa, e nessuno mi porta Bino. Quando ho visto passare per la terza volta la bidella che ogni giorno mi riconsegna il piccolo ho bussato timidamente al vetro per ricordarle la mia presenza. Si è girata e con un sorriso mi ha assicurato che me lo avrebbero portato subito.
Ma non arrivava nessuno.
Ho cominciato a pensare che si fosse fatto male... ho capito che c'era comunque qualcosa che non andava.
Ad un certo punto un gruppo di bambini di cinque anni, i più grandi, sono arrivati di corsa contro il vetro della porta a gridarmi che Bicci non si trovava, Bicci non c'era più!

Ho visto nero davanti a me.
Nero. Senza più alcuna sfumatura di colore o di luce.
Nero sarebbe l'unico possibile colore senza mio figlio.

Ho supplicato quei bambini di trovare qualcuno che mi aprisse la porta di quel bunker senza senso, dal momento che il mio Bicci era sparito.

Sono passati ancora tanti minuti, tempo di puro terrore. Mi hanno aperto soltanto dopo aver ritrovato il mio amore, il sole dei miei giorni e delle notti.

Mi sono sentita male: il mio spavento si è rotto e disperso in rivoli di lacrime mentre il mio cuore saltava sconclusionato da una nota all'altra.
Non avevo più certezze, né punti di riferimento.


Mi hanno spiegato che Bicci era nascosto in una risega del giardino vietata ma non interdetta fisicamente, a cercare un grosso legno – ha spiegato lui – loro lo chiamavano e lui non rispondeva, perché occupato o per paura di una punizione per aver sconfinato in una zona proibita.
Nel pianto sono solo riuscita a dire alle educatrici che a loro i bambini non devono uscire dagli occhi.
Non ho detto altro, tutto il resto l'ho tenuto per me, eccetto lo spavento che aveva ormai deformato il mio volto.

Le maestre hanno l'abitudine di sedere sotto il porticato della scuola mentre i bambini si disperdono nel giardino, che è grande e ha due aree laterali piccole che da quella posizione non sono visibili.
Non solo i bambini potrebbero nascondersi, ma potrebbero anche ferirsi con legni o altri giochi e gli adulti, così distanti, non arriverebbero in tempo per prestare soccorso e probabilmente non vedrebbero neanche l'accaduto prima di essere allarmati dal pianto, ad incidente avvenuto. Che dire se poi qualcuno riuscisse a prelevare un bambino dalla rete? O se un bambino si arrampicasse e uscisse?
Martedì scorso gli scenari più nefasti hanno preso possesso della mia mente.
Ho avuto paura.
Ho sentito uno strappo di perdita dentro il cuore che mi ha quasi soffocata.

Io vado a lavorare la mattina e vorrei che mio figlio rimanesse in un posto rispettoso e attento dei suoi bisogni e della sua creatività.

Adesso quando le educatrici mi vedono arrivare a prendere Bicci, si alzano a turno dal solito posto per illudermi che sorvegliano i bambini più attentamente.
Io trovo questo gioco inutile.

Non ho ancora deciso se andare a parlare con il Dirigente Scolastico. Non vorrei alimentare polemiche sterili e irrigidire i rapporti, ma io di queste persone non mi fido già più.
Voi che cosa fareste?

Vi abbraccio forte, insieme al mio Bicci!


domenica 6 aprile 2014

venerdì 4 aprile 2014

Il palazzo di gelato di Gianni Rodari

Settimana impegnativa quella che sta per finire, con Bicci e me di nuovo malati...
Spero davvero che la primavera e il sole portino via tutti i virus!

Nei giorni scorsi ho fatto un'incursione in libreria per annusare buoni odori e comprare qualche regalino per Bicci.

Lui ama il gelato (solo fior di panna, per ora!) e tra i librini che gli ho comprato c'è questo spassosissimo “Il palazzo di gelato”, da “Favole al telefono” di Gianni Rodari, Edizioni EL 2014.

Immagine presa da qui


Immagine presa da qui

Il formato del libro è piccolo (14x18 cm), e mi piace perché sta bene nelle mani di un bambino.


Il testo è impreziosito dalle illustrazioni delicate di Anna Curti, che occupano tutta la pagina e traducono fedelmente le parole generate dalla fantasia visionaria di Rodari.




Confesso che ogni volta che leggo i suoi testi mi stupisco della sua capacità di sfruttare veramente ogni pretesto per inventare nuovi mondi, proprio come se dentro di lui avesse continuato a vivere un bambino sorridente. E adoro quel suo particolarissimo candore, il sapore squisitamente infantile che hanno certe sue storie.

E' uno degli autori che mi fa capire che usare il teatro per coltivare creatività e bellezza è una buona idea. Mi fa sentire sulla strada giusta: è bello allevare utopie ed attendere che crescano sane e forti!

Vorrei chiudere questo post con una citazione dalla “Grammatica della fantasia”, Gianni Rodari, Edizioni EL 2007:

Immagine presa da qui

La presente «grammatica della fantasia» - questo mi sembra il luogo per chiarirlo definitivamente – non è né una teoria dell'immaginazione infantile (ci vorrebbe altro...) né una raccolta di ricette, un Artusi delle storia, ma, ritengo, una proposta da mettere accanto a tutte le altre che tendono ad arricchire di stimoli l'ambiente (casa o scuola, non importa) in cui il bambino cresce.
La mente è una sola. La sua creatività va coltivata in tutte le direzioni. Le fiabe (ascoltate o inventate) non sono «tutto» quel che serve al bambino. Il libero uso di tutte le possibilità della lingua non rappresenta che una delle direzioni in cui egli può espandersi. Ma «tout se tient», come dicono i francesi. L'immaginazione del bambino, stimolata a inventare parole, applicherà i suoi strumenti su tutti i tratti dell'esperienza che sfideranno il suo intervento creativo. Le fiabe servono alla matematica come la matematica serve alle fiabe. Servono alla poesia, alla musica, all'utopia, all'impegno politico: insomma, all'uomo intero, e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché, in apparenza, non servono a niente: come la poesia e la musica, come il teatro o lo sport (se non diventano un affare).
Servono all'uomo completo. Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogni di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà – vuol dire che è fatta male e che bisogna cambiarla. Per cambiarla, occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione.” 

Vi auguro un sereno fine settimana e vi abbraccio tutti/e!
♥♥♥


Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma





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