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mercoledì 19 febbraio 2014

Il circo degli animali.

In una riunione convocata mercoledì scorso, le due educatrici della scuola dell'infanzia frequentata da Binotto ci hanno comunicato il tema della festa di carnevale, a cui i genitori non saranno ammessi: il circo degli animali.

Ai bambini della classe di mio figlio sono stati assegnati questi ruoli: 2 majorettes, 2 clown, 1 domatore, 6 tigri, 6 cavalli, 6 scimpanzè e 6 elefanti.

Con determinata educazione ho detto che a me il tema sembrava inopportuno, dal momento che i circhi con animali sono luoghi di sofferenza, nei quali le bestie vengono private della libertà e maltrattate al fine di ottenere il comportamento voluto dall'umano, palesemente innaturale per la loro specie.

La totalità degli altri genitori presenti ha replicato che i bambini di tre/quattro anni non capiscono, al limite ci si poteva porre il problema se avessero avuto sette anni!
Nessuno ha provato a smentire tale affermazione, e una delle educatrici ha detto che i circhi li conoscono tutti e al circo il domatore c'è.

La stessa sera ho deciso di scrivere alle maestre per ribadire la mia posizione e ho chiesto: “quando un bambino vorrà sapere che cos'è un domatore, voi cosa risponderete? Qual'è l'insegnamento che volete trasmettere con questa scelta?”

Personalmente cerco di crescere mio figlio nella consapevolezza della pari dignità degli esseri viventi: umani e animali hanno lo stesso diritto di cittadinanza su questa terra e non c'è posto per abusi, costrizioni e violenze. Mai.
Vorrei che la scuola insegnasse almeno questo: pari dignità, rispetto e pacifica collaborazione.

Un bambino di tre/quattro anni ha la capacità di capire quello che gli si spiega, eccome!
Io vorrei che nel panorama culturale di mio figlio le figure come i domatori fossero inscritte tra quelle che non ci piacciono, perché creano sofferenza ad altre creature.
I bambini possono ben capire che gli animali sono liberi, come le persone. Ed è solo nella libertà che gli esseri viventi mantengono integra la propria dignità.

Ho parlato con entrambe le educatrici prima e dopo la lettera, non ho ricevuto alcuna risposta scritta, ma hanno cambiato il nome del domatore: ora è un presentatore, che introdurrà la sfilata degli animali!


Immagine presa da qui


Qui trovate il link alla brochure diffusa dall'Enpa per lottare contro la presenza degli animali nei circhi: 
Pensaci un attimo. Un posto in cui gli animali sono tenuti prigionieri, sottratti alle loro famiglie e spesso lontani dai loro simili, in un ambiente repressivo della loro natura di creature selvatiche, è un posto in cui un bambino può imparare qualcosa di buono?”

Questa è la normativa di legge sugli spettacoli viaggianti, circhi compresi, in Italia.

Questo è il Codice Penale a proposito di maltrattamento di animali.

Lo Stato Italiano assegna contributi in denaro agli spettacoli viaggianti, circhi compresi.

lunedì 6 gennaio 2014

Maria Montessori: l'educazione alla libertà. Nel giorno della Befana!

Oggi festeggiamo la Befana ma nella stessa data accade anche che:

Era il sei gennaio 1906 (praticamente tutte le altre fonti che ho consultato dicono 1907) quando si inaugurò la prima scuola di piccoli bambini normali da tre a sei anni, non posso dire col mio metodo, perché esso non esisteva ancora, ma vi doveva nascere in breve tempo”.

Così racconta Maria Montessori nel suo “Il segreto dell'infanzia” (Garzanti, Elefanti, novembre 2007), da cui sono tratte anche le altre citazioni di questo post).


Siamo nel quartiere San Lorenzo, a Roma. La scuola nasceva all'interno di un progetto di riqualificazione edilizia e igienica dell'area, i 50 bambini ammessi a frequentarla provenivano tutti da famiglie poverissime dove l'analfabetismo dilagava.
La continuità educativa tra scuola e famiglia si concretizzava nell'impegno dei genitori a tener pulita la zona e a mandare i bambini a scuola lavati e ordinati.
Per la prima volta lo spazio scolastico è organizzato a misura di bambino, al quale è data libera facoltà di movimento e di scelta tra i materiali didattici proposti: non ci sono più cattedre, né programmi, esami, castighi o premi.
Ne consegue che “Il metodo non si vede: ciò che si vede è il bambino. Si vede l'anima del bambino che, liberata dagli ostacoli, agisce secondo la propria natura.”

Il principio del metodo Montessori risiede nel favorire lo sviluppo di ogni individuo in base ai suoi ritmi naturali e alla sua peculiare personalità, l'esperienza e l'autonomia facilitano la scoperta dei propri interessi reali e lo sviluppo della fiducia in se stessi.

Maria Montessori chiama i piccoli allievi delle sue scuole “bambini normalizzati”, fanciulli ai quali è restituita la libertà di movimento in un mondo pensato appositamente per loro, per agevolare la loro crescita.

Un centinaio di anni fa circa questa studiosa spiegò che molte difficoltà di apprendimento dei bambini erano imputabili ad un metodo educativo inadeguato a favorire il fiorire della personalità e dell'intelligenza immaginativa degli alunni, che si rinserrava quindi dietro “barriere psichiche” capaci di renderli impermeabili agli insegnamenti imposti fino al punto da “venir confusi coi deficienti”.


Ma se l'operaio produce ciò che l'uomo consuma e crea nel mondo esteriore, il bambino produce l'umanità stessa, e pertanto i suoi diritti ancora più palesemente esigono trasformazioni sociali. E' evidente che la società dovrebbe prodigare ai bambini le cure più perfette e più sagge, per ricavarne maggior energia e maggiori possibilità per l'umanità futura.”

Non sembra anche a voi un'ottimo augurio per l'anno appena cominciato e per tanti altri a venire?


venerdì 30 novembre 2012

Liberi di non picchiare



I bambini non hanno bisogno di genitori perfetti, con solo certezze e niente dubbi, ma di esseri umani autentici, fatti di carne, non onniscienti ma sempre disponibili a imparare e a crescere.                      La famiglia è competente, Jesper Juul

I figli vogliono sempre collaborare e rendere contenti i loro genitori.                        La famiglia è competente, Jesper Juul

I bambini vogliono collaborare con i genitori e dare loro ciò che desiderano. Sono contenti quando possono farlo. I divieti e le critiche ottengono – come nel caso degli adulti – il risultato opposto.                       La famiglia è competente, Jesper Juul


Nel mese di novembre Non Togliermi il Sorriso e Genitori Channel hanno lanciato la rassegna Liberi di non Picchiare, alla quale mi unisco molto volentieri.
Sono un po’ in ritardo a causa delle influenze che hanno avuto la meglio su me e Binotto, ma spero che il mio contributo si riverberi anche sul mese prossimo tenendo viva l’attenzione su un argomento che mi sta veramente a cuore.
La mia opinione a proposito dell’utilizzo di comportamenti violenti nella relazione con i piccoli l’ho espressa diffusamente in questo post, con il quale, lo scorso luglio, ho aderito alla campagna A MANI FERME di Save the Children.
Nello stesso post ho fatto outing sul mio passato di figlia picchiata. Spesso si preferirebbe far finta che certe cose non fossero mai accadute ma, a mio avviso, quando non si è più capaci di farlo si può giungere a quella consapevolezza necessaria  a fare di noi delle persone e quindi dei genitori diversi. Genitori che non saranno infallibili, naturalmente, ma che riflettono sui comportamenti che mettono in atto nella relazione con i figli e che si pongono nell’ottica di imparare insieme a loro.
Amo molto le citazioni di J. Juul che ho trascritto in apertura di post e trovo molto preziosi nella mia esperienza di mamma in divenire i suoi libri, che spesso mi trovo a riprendere in mano quando ho bisogno di fare il punto e ritrovare il centro.

Purtroppo viviamo in una società che ha fretta, che non aspetta e non rispetta i tempi di nessuno, nemmeno dei piccoli. E questo secondo me è un grave errore, che avrà conseguenze future su tutti. Siamo compressi dentro tempi standard nei quali pensiamo di dover far entrare di tutto di più...e finisce che in questa fretta affollata di impegni non riusciamo più a goderci niente, né a trovare il tempo di fermarci a capire che cosa ci sta chiedendo nostro figlio con il suo rifiuto a collaborare, ad esempio. Oppure siamo talmente abituati a vivere dentro rapporti di potere che esprimere comandi, critiche e divieti ci sembra l’unica soluzione. Oppure ci siamo investiti di un ruolo al quale pensiamo di dover corrispondere e che ci porta a fare e dire cose che non si adattano al nostro vero io. Oppure le ferite subite nell’infanzia sono ancora così aperte e inconsapevoli in noi da renderci diversi da ciò che vorremmo essere. E’ in queste situazioni che, a volte, scatta il meccanismo perverso per cui imporsi e strattonare sembra più semplice di fermarsi ed ascoltare.
I motivi per cui la violenza, fisica o psicologica, sembra l’unica strada possono essere molti ma, come ricorda ancora J. Juul, nel momento in cui viene lesa la loro integrità, i bambini imparano che è consentito non rispettare i limiti delle altre persone! E questo si esprime nel mancato rispetto dei limiti dei genitori.
[¼]Gli adulti che usano questo metodo sono condannati al fallimento. Come si può infatti imparare a rispettare i limiti delle altre persone quando i propri vengono permanentemente violati?
E’ evidente che la [¼]paura è puro veleno per il rapporto profondo fra genitori e figli – cosa che naturalmente vale anche per il rapporto fra adulti. Personalmente non potrei provare alcuna soddisfazione nel capire che mio figlio accoglie una mia richiesta per paura di una mia reazione.
[¼]I bambini ci possono aiutare a ritrovare un linguaggio più personale, perché il loro modo di esprimersi è molto diretto. Basta provare a fermarsi ed ascoltare.
Se rispettiamo ciò che esprimono i nostri figli e cerchiamo insieme a loro una soluzione, anche loro imparano a rispettare i limiti delle altre persone. Se invece ne facciamo una questione di potere, anche loro più avanti gestiranno le cose in termini di lotta per il potere. (Tutte le citazioni precedenti sono tratte da Jesper Juul, La famiglia è competente, Saggi Universale Economica Feltrinelli, ottobre 2010).

Ecco che potrebbe costituire un valido aiuto provare a sperimentare un nuovo modo di comunicare, basato sull’ascolto reciproco e sull’empatia, quello che Marshall B. Rosenberg chiama Linguaggio Giraffa, perché le giraffe hanno il cuore più grande tra tutti i mammiferi terrestri, e quindi quale nome migliore per il linguaggio del cuore che Linguaggio Giraffa? contrapposto al Linguaggio Sciacallo. Mentre quest’ultimo cerca di convincere l’altro a far quel che noi vorremmo usando la punizione, la ricompensa, il senso di colpa, la vergogna, il Linguaggio Giraffa utilizza l’espressione di bisogni e desideri per attivare nella relazione l’empatia necessaria a rendere ognuno libero di dare all’altro, di rendere bella la vita o la giornata dell’altro per il gusto di dare dal cuore. (vedi Marshall B. Rosenberg, Educare con la comunicazione non violenta, Esserci Edizioni, Reggio Emilia, 2010 e Le parole sono finestre [oppure muri], Esserci Edizioni, Reggio Emilia, 2003 – volendo si può visitare anche il sito www.centroesserci.it, dedicato alla comunicazione non violenta).
Cheri Huber, con il suo Diventa la persona che vorresti incontrare, Oscar Mondadori, in modo molto diretto e semplice fornisce una serie di strumenti per aiutarvi a capire le vostre risposte alla vita che derivano dal condizionamento e a liberarvene, al fine di divenire la persona che vorremmo incontrare e divenire così capaci di impostare relazioni costruttive con gli altri. E con chi meglio che con i nostri figli?

Se è vero che l’avventura di essere genitori è molto complessa e faticosa, possiamo provare altresì a calarci nei panni dei nostri piccoli e tornare bambini noi stessi per comprendere quanto possa essere altrettanto complicato e faticoso crescere ed affermare la propria personalità.
Quando la giornata è andata proprio storta e nostro figlio sembra completamente irragionevole mentre noi sembriamo totalmente sordi, proviamo a prendere tempo: proviamo a chiudere gli occhi e a rivedere noi bambini. Proviamo a disegnare un boa che digerisce un elefante o una pecora o la cassetta per la pecora e proviamo a ricordare che non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi. (Antoine De Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, Tascabili Bompiani)
Ora riapriamo gli occhi e sorridiamo a nostro figlio.
In fondo è semplice.

E voi che cosa ne pensate?
Come impostate la relazione con i vostri figli?

Segnalo altri miei interventi su pedagogia dolce e non violenza nella relazione educativa, che considero strettamente correlati all’argomento di questo post:

“A MANI FERME”: con Save the Children dalla partedei bambini

La melodia dell’amore: la comunicazione tra madre efiglio. Divagazioni tra pedagogia dell’ascolto di Tomatis, lingua madre elinguaggio dei segni.

Dite.Una poesia di Janusz Korczak.

Il bambino è competente

Il tempo per noi

La cura della relazione madre/bambino


Vi invito, se non lo conoscete, a visitare il forum di Non Togliermi il Sorriso, dove potrete trovare le testimonianze di tanti genitori che interrogano il proprio cuore.


A presto!

lunedì 16 luglio 2012

Il bambino è competente


A integrazione del precedente post, riporto un passo dall’introduzione del libro di Jesper Juul citato nel titolo: “Il bambino è competente” appunto.

Dicendo che i nostri figli sono “competenti” intendo dire che sono in grado di insegnarci ciò di cui abbiamo bisogno. Loro ci danno la prova che ci permette di riguadagnare la competenza persa e di modificare il nostro comportamento di nonamore, autodistruttivo e inefficace. Imparare dai nostri figli richiede ben più che parlare con loro in modo democratico; significa imporsi di sviluppare un tipo di dialogo che molti adulti non sono in grado di stabilire neppure con altri adulti: un dialogo personale basato su uguale dignità.’

Voi che cosa ne pensate?

A presto!

sabato 14 luglio 2012

“A MANI FERME”: con Save the Children dalla parte dei bambini


Ho pensato a lungo se e come scrivere questo post. 

Immagine presa dalla campagna A MANI FERME di Save the Children
Io sono una donna adulta che da bambina le ha prese, e “di santa ragione” come direbbe fiera mia madre.
Ecco: io porto ancora dentro quelle ferite e ho dovuto fare un grandissimo lavoro personale per superarle e trovare fiducia in me stessa.
L’ultimo step di questo percorso alla ricerca della vera me è stato dare la vita a mio figlio a casa con parto naturale.
La mia esperienza fa si che io sia assolutamente contraria all’utilizzo di qualsiasi forma di forza e coercizione nella relazione e nell’educazione di un figlio, e nelle relazioni in generale.
Questo non significa che io sia, o aspiri a essere, un genitore perfetto né che sia immune da errori e frustrazioni. Talvolta mi sento completamente inadeguata e perdo la bussola, mi sembra di non avere più strumenti.
Ma cerco sempre di prendere le distanze e riflettere, cerco di controllare il volume della voce, e scopro con gioia che se io mantengo la calma e persevero nella ricerca di dialogo e comprensione le questioni diventano più facili e io e Binotto ritroviamo il gusto di collaborare per vivere sereni! Credo che questa sensazione sia impagabile.
E finisco sempre per essere estasiata e grata per il bello che c’è nella mia vita.

La nascita di un bambino è un evento meraviglioso, che stravolge positivamente la vita dei genitori.
Tuttavia mi sembra strano che per fare l’educatore occorra studiare e conseguire un titolo, che a volte si rivela anche insufficiente, e non esistano iter preparatori e formativi per affrontare il difficile e delicato compito di essere genitore.
La maternità e la paternità nascono da un profondo atto d’amore verso la vita, ma questo non sempre basta, perché ci sono tante difficoltà da affrontare e una società, nella quale inserirsi, che tende ad imporre ritmi che sono poco o per niente favorevoli alla cura delle relazioni.
Io credo che la violenza dei genitori verso i propri figli derivi da una reazione di serrata difesa dell’adulto rispetto allo scardinamento di vita e abitudini che un piccolo mette in atto. Così come credo che probabilmente anche le modalità del parto e dell’accudimento scelte o non scelte influiscano sulla capacità di accogliere e comprendere i bisogni di una creatura, che sarà a lungo completamente dipendente da noi, e dalla madre in particolare.
Insisto perciò sul fatto che sarebbe importante non lasciare soli i genitori, non lasciare sole le famiglie, ma creare una rete virtuosa di accoglienza e amore.
Perché l’amore passa attraverso un gesto d’amore e un gesto d’amore può avere tante forme e manifestazioni.

Personalmente rimango sempre ferita e spaventata quando vedo maltrattare un bambino. E nei maltrattamenti io includo anche lasciar piangere un neonato di pochi giorni o pochi mesi in una carrozzina e/o in un passeggino.
Purtroppo capita più spesso di quanto si creda.
Negli ultimi mesi mi è successo di vedere una mamma – che ho conosciuto al corso pre-parto della Asl e che è ricorsa anche all’inseminazione artificiale pur di avere un figlio - picchiare la sua bambina di circa 18 mesi in un negozio di abbigliamento per piccoli (!) perché toccava tutto e non stava ferma; oppure vedere una mamma picchiare, sulle mani e sul viso, il proprio bimbo di circa 2 anni e mezzo, seduto nel passeggino, perché allungava le mani per toccare i prodotti in vendita e piangeva per il dolore e la frustrazione. E più piangeva e più lei schiaffeggiava.
In entrambi i casi ho vissuto un forte senso di offesa e di impotenza, perché avrei voluto intervenire ma non sapevo come farlo.
Stamani a lavoro, parlando con una collega che ha un figlio di sette anni, ho trovato da riflettere quando mi ha detto che lei non picchia mai suo figlio, al limite gli da qualche sculaccione ogni tanto.

Alla luce delle riflessioni di cui sopra, trovo quindi molto importante la campagna A MANI FERME, coordinata da Save the Children Italia con la collaborazione di tre partner europei -  Save the Children Svezia, Save the Children Romania e Save the Children Lituania - che nasce all’interno del Progetto “Educate, do not punish”, finanziato dalla Commissione Europea, per proteggere i bambini dalle punizioni fisiche o corporali e dalle altre forme di punizioni umilianti e degradanti in tutti i contesti, compreso quello familiare, promuovendo la genitorialità positiva. 


E' importante far rilevare come molti stati europei abbiano vietato per legge le punizioni fisiche all’interno della famiglia e in ambiente scolastico, mentre in Italia non esiste ancora una norma in proposito.
Credo che ottenere che il legislatore colmi questa lacuna sia una battaglia di civiltà.

Qui il link allo spot della campagna.

Save the Children mette a disposizione la Guida pratica alla genitorialità positiva, un’opuscolo di 60 pagine, che ho trovato estremamente chiaro e utile.
La guida aiuta i genitori a riflettere per trovare una strada alla costruzione di un buon rapporto genitori-figli, fornendo utili informazioni circa lo sviluppo cognitivo dei piccoli nelle varie fasce di età e i loro corrispondenti bisogni e indicando i quattro pilastri sui quali fondare la relazione:
1.  Individuare i propri obiettivi educativi di lungo termine;
2.  Far sentire il proprio affetto e fornire punti di riferimento ai nostri figli in ogni interazione con loro;
3. Comprendere cosa pensano e cosa provano i nostri figli in diverse situazioni;
4. Assumere un approccio che mira alla risoluzione dei problemi piuttosto che un approccio punitivo.

Uno dei passaggi più belli a mio parere è questo:
Nessun genitore è perfetto. Tutti noi commettiamo degli errori, ma possiamo imparare da questi, proprio come fanno i nostri figli.”

Qual'è il vostro approccio educativo con i bambini?
Vi siete mai trovate/i in difficoltà?

A presto!

lunedì 2 aprile 2012

Far crescere un bambino nella società dell’opulenza e del superfluo.

Rileggo l’intervento di Daniele Novara, sulla newsletter dell’Aprile 2009 del Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflittidal titolo “L’ESSENZIALE E IL SUPERFLUO. Dal bambino abbondante al bambino felice”.
La riflessione del pedagogista parte dalla constatazione che un bambino italiano su tre è in sovrappeso e i primi disturbi della sfera alimentare si presentano intorno ai 9/10 anni.
“L’espressione bambino abbondante rende bene l’idea di un sistema educativo che, […] nella logica dell’accontentare e del compiacere, finisce col creare paradossalmente delle condizioni di malessere, legato proprio all’enfasi data al superfluo.”
Con accontentare e compiacere chiaramente l’autore si riferisce alla fornitura di cibo, giochi e oggetti inutili, spesso anticipatori di desideri che forse non sorgerebbero mai e/o tesi a colmare un vuoto d’amore, di tempo e di relazione.
Tale logica va di pari passo con la civiltà dei consumi, nella quale con sofisticate – ma neanche troppo – strategie di marketing si inducono bisogni e conseguenti necessità di acquisto, alle quali la grande maggioranza dei genitori fatica a sottrarsi.
Si va dal cibo spazzatura all’ultima novità in tema di giochi ai vestiti firmati, nell’obbedienza ad una società dell’effimero che sembra ormai al declino, anche se in molti si ostinano a volerla tenere in piedi.
La vera ricchezza di cui potrebbe veramente godere un bambino sarebbe avere persone amorevoli – i genitori ad esempio – che si occupano di lui e che spendono del tempo “buono” a giocare con lui, nonché vivere in un ambiente familiare che consenta la libera espressione della persona, l’accoglimento dei suoi bisogni e sia di stimolo all’esercizio della creatività.
Prosegue Novara: “ Chiedersi cosa sia davvero utile e cosa inutile nell’ambito delle scelte che fanno i bambini o che vengono fatte per i bambini appare allora, da un lato quasi una necessità imprescindibile, dall’altro anche una minaccia al sistema di marketing. Se il bambino dovesse veramente fare una vita adatta ai suoi bisogni reali, e quindi più naturale e più spontanea, presumo che i consumi nazionali diminuirebbero di almeno un quinto. Esiste, e non solo in Italia, un marketing rivolto all’infanzia, fondato proprio sull’ideologia del superfluo, fortemente compenetrato al sistema familiare.” 
E va avanti con l’esempio della festa di compleanno, replicata a scuola, con i genitori e con gli amici (!), che “comporta uno spreco e un’accentuazione narcistica assolutamente inedita”, così come “invitare venti bambini alla festa implica […] il dover partecipare ad altre venti feste di compleanno con i venti regali che ne conseguono, creando un effetto domino consumistico assolutamente inutile oltre che devastante da un punto di vista psicologico. I bambini si trovano sommersi da regali di cui non sanno letteralmente cosa farsene, che condizionano pesantemente la loro competenza e capacità creativa.”
Propone poi l’esempio di un’associazione di genitori di Locarno promotori di un negozio nel quale si scambiano e condividono giochi e vestiti per bambini.
“L’essenzialità favorisce una crescita più autonoma e più libera, […] gli adulti […] sempre pronti ad accontentare qualsiasi desiderio, impediscono di fatto il vero desiderio dei bambini: quello di poter spiccare il volo da soli senza tanti meccanismi e induzioni esterne.
E’ la resistenza dell’aria che produce il volo, ricorderebbe Kant”.

Quali sono le vostre esperienze?
Quali le vostre riflessioni?

A presto!

martedì 13 marzo 2012

Dolore di bambini, dolore di mamme: l’inserimento al nido.


"I bambini ci inviano dei segnali molto chiari, che noi dobbiamo considerare seriamente, anche se questo è in contrasto con il modo in cui siamo stati educati o che altri usano per educare i loro figli". Jesper Juul

"Il principio di una educazione senza violenza si riassume in tre parole: rispettare il bambino. La messa in pratica di tale rispetto è anch’essa molto semplice da definire: trattare il bambino come vorremmo che lui trattasse noi " Olivier Maurel

"Utilizzando un modo di comunicare fondato sulla chiarezza e sull'onestà, è possibile creare relazioni familiari basate sul rispetto e sull'arricchimento reciproco." Marshall B. Rosenberg



Ricevo e pubblico (dietro la sua autorizzazione) l’accorata richiesta di sostegno della mamma di Giulio, in crisi per l’inserimento al nido:

“Ciao Anna,
ti scrivo perché noi stiamo vivendo un momento molto particolare...oggi mi sento a pezzi…incompresa e sola...Giulio ha iniziato ad andare al nido da una settimana ... tra mezzi sorrisi amari e qualche lacrimuccia fino ad ora non era andata poi così male...ma ieri mi hanno detto che dopo un'ora il bimbo è andato in crisi e l'ho trovato in lacrime in braccio alla dada, mentre oggi quando sono andato a prenderlo, dopo il primo pranzo fuori, stava urlando come mai l'ho sentito fare...ho sentito venire meno la terra sotto i piedi e devo ancora smettere di piangere!
Avrà senso leggere, documentarsi, fare di tutto perché avvenga una nascita dolce e perché i primi momenti siano salvaguardati da traumi e interferenze, continuare a cercare di dare/fare il meglio, assecondarlo in quelle che sembrano essere le sue esigenze/richieste, e poi, d'improvviso, affidarlo a dei perfetti estranei, che non fanno altro che custodire un parcheggio per pargoli?

Ciao....la mail sopra risale a un paio di giorni fa...poi la rete non mi funzionava e io mi sono persa tra le mie e le sue lacrime  e il nostro dolore...ma da ieri sembra che le cose vadano meglio..così mi dicono le dade. In effetti non l'ho più sentito piangere come ti spiegavo sopra…ma non sono molto più tranquilla per vari motivi:
il primo è che non riesco ancora a fidarmi di loro, e poi perché il fatto che mio figlio smetta di piangere non vuol dire che sta bene..ma che si è arreso ai fatti, e la cosa non mi fa sentire molto meglio!
Forse sono un po’ troppo tragica...però sento il bisogno di chiederti un consiglio:
davanti alla possibilità di avere una persona amica di famiglia iper-fidata che starebbe con Giulio tre o quattro mattine la settimana..tu pensi che per un bimbo di un anno sia una soluzione migliore rispetto ad andare al nido? e poi rimandare l'inserimento a...quando? l'anno prossimo? oppure provare ad arrivare direttamente alla materna?...ognuno dice la sua e io sono così confusa! Monica”

Personalmente credo che l’asilo nido sia una “stortura” della società contemporanea, sia un non-luogo nel quale si parcheggiano i nostri figli per andare a lavorare, come se prendersi cura di loro ed accompagnarli nel periodo più importante e critico della loro crescita non sia un lavoro e un servizio reso alla società intera.

Inoltre non sono affatto convinta che l’inserimento al nido debba necessariamente passare attraverso il dolore non ascoltato (!) del bambino e della madre.

Mio figlio, ad esempio, ha tempi lunghi e io so che sarebbe sufficiente rispettare i suoi tempi per consentirgli di inserirsi serenamente in un nuovo ambiente con persone nuove, confortato inizialmente dalla presenza della mamma, per giungere poi ad accettare di salutarla e godere di quell’opportunità di fare nuove esperienze che gli è offerta. Ma non ho trovato alcuna struttura che, all’atto pratico, abbia messo in campo questo rispetto e abbia predisposto una strategia di ambientamento personalizzata.

Quando si forza l’inserimento al nido attraverso il non ascolto del pianto, del bisogno, del disagio del bambino si ottiene, forse alla fine, che quel bambino si adatti ad essere lasciato – abbandonato – in quella situazione, ma non potrà provare vera gioia di starci. E tutto questo ha un costo sociale piuttosto elevato. Basta guardarsi intorno!

Purtroppo la nostra è una società basata sul profitto, dove nessuno ha più tempo né pazienza di aspettare nessuno.
Come si può pensare di far mangiare un piccolo al nido dopo solo una settimana di “tragica” frequenza?

Sono convinta che sarebbe auspicabile l’esistenza di un progetto educativo veramente condiviso con la famiglia ed una reale continuità educativa casa/scuola, ma affinché ciò si possa realizzare sarebbe necessario sopportare e stimolare la presenza dei genitori dentro le strutture. E non credo che questo si concretizzerebbe in un disagio per i bambini, anzi.

Vorrei citare alcuni stralci da “La mia lettera all’educatrice di mia figlia” , scritta da Silvia, madre di una bambina di due anni e mezzo, reperibile sul sito nontogliermiilsorriso.org, ispirato all’opera di Alice Miller:

“Gentile educatrice,
[…]Ripensando al primo ambientamento della nostra bambina in un nido Montessori, ho pensato che come imparare a nuotare sia una buona metafora.
Spesso sento dire: “Se vuoi che un bambino faccia qualcosa, non dargli opzioni! Non fargli usare il salvagente se vuoi che impari a nuotare...” […]
La gente della mia generazione, una generazione che ha imparato a nuotare semplicemente venendo spinta nell’acqua alta a 5 anni, spesso odia i corsi di nuoto – e gli insegnanti di nuoto. […] la gran parte di noi dice: “Mi piace nuotare, ma per conto mio, niente corsi, per carità!”.
Così ho imparato a chiedermi sempre “Perché? Qual è l’obiettivo?” […]
Alcuni genitori potrebbero avere l’obiettivo di fare del proprio figlio un buon nuotatore il prima possibile. Magari vivono vicino a un lago pericoloso, quindi questa abilità è essenziale per la sopravvivenza. Perciò non importa a questi genitori forzare il figlio, lasciarlo piangere e gridare: deve nuotare il prima possibile, a loro non interessa se odierà nuotare, basta che la sua incolumità sia garantita.
Questo non vale per me: non viviamo “vicino ad acque pericolose”, quindi proponiamo a nostra figlia di nuotare perché l’acqua è divertente, è scoperta, ma non abbiamo come obiettivo “il prima possibile”: potrebbe nuotare con i braccioli fino a 10 anni, se questo è il modo più divertente e rilassante per lei, perché no?
Una delle ragioni per togliere i braccioli, mi si dirà, potrebbe essere che le scuole di nuoto hanno regole e standard, perciò se si decide di iscrivere un bimbo in una scuola di nuoto la famiglia deve accettare queste regole, altrimenti si deve insegnare da sé a nuotare ai figli. Però più piccolo è un bimbo, più flessibili queste regole devono essere, quindi una buona scuola di nuoto deve adeguarsi alla personalità di ogni piccolo allievo e al suo ritmo personale di crescita.
Ecco, penso che tutto quanto sopra si adatti bene alla scuola in generale: perché, per esempio, un ambientamento deve durare una, due, tre settimane? Ma perché una scuola non può avere genitori intorno per mesi? Be’, se parliamo di bambini sotto i 3 anni (penso, per esempio, all’opera di Mary Ainsworth), perché non avere genitori intorno se la felicità dei bambini lo richiede?
È un successo se il periodo di ambientamento dura una settimana anziché due? Significa che il bambino è più indipendente, più flessibile, ha più fiducia in sé? Non credo. Ricordo cosa lessi in un libro, Genitori con il cuore di Jan Hunt, che a un certo punto descrive una serra di rose con il giardiniere che, tutto agitato, cerca di aprire il boccioli e chiude con lo scotch le rose già fiorite, spiegando che le rose devono fiorire la settimana successiva, tutte insieme! Tutti penseremmo che è ridicolo, pensando ai fiori, ma stranamente ci sembra accettabile (anzi, scontato) cercare di fare la stessa cosa con i bambini.
Uno degli altri “miti” che sento spesso è: “Devi avere fiducia nel tuo bambino, devi credere che può farcela, quindi (per esempio) non tirarlo su dalla sua culla anche se piange, altrimenti gli confermi che è un posto terribile e non hai fiducia che lui possa farcela a stare da solo / non andare a prenderla a scuola dopo una sola ora solo perché chiama mamma, altrimenti le dimostri di non fidarti della sua capacità di stare da solo / ecc.” È vero che un bambino si può adattare a tutto. Ciò non significa che questo tutto sia sempre la cosa migliore e più felice per lui. Penso di dare molta più fiducia a mia figlia se le do ascolto quando si lamenta, piange, si oppone a qualcosa invece di farle pensare che non prendo il suo pianto seriamente. […]
Per agevolare l’ambientamento al nido Montessori, mi è stato consigliato di distanziarmi da mia figlia anche quando eravamo assieme, in modo da farle sperimentare che lei era una cosa diversa da mamma, divisa da lei. Non ho mai seguito questo consiglio (anche se veniva da un’organizzazione educativa molto apprezzata), anche perché il papà lavorava in un’altra città e la bimba non poteva vederlo ogni giorno. Cosa le rimaneva della sua famiglia? Volevo rassicurare mia figlia che volevo assolutamente stare sempre con lei e tenermela vicina, qualche volta non era possibile  […]
Il pediatra William Sears dice che il 90% delle madri da lui interpellate si sente a disagio con alcuni consigli che vengono dati loro, e osserva: “Perché preferiamo pensare che il 90% delle madri si sbaglia invece di pensare che un consiglio, per quanto radicato, sia sbagliato?”
Dopo tutte le nostre esperienze e considerazioni, ciò che desideriamo per nostra figlia ora è che cresca felice e a suo agio […]Abbiamo ritenuto che l’opzione di mandare nostra figlia a scuola sia il modo migliore per […] avere tante persone intorno.
[…]Amiamo pensare che sarà felice di alzarsi al mattino pronta ad iniziare le sue attività quotidiane (sebbene giorni tristi capitino anche alle persone più felici) e libera dalla rassegnazione che facilmente prende una piccola persona più debole soggetta alle decisioni del più forte. La cosa più bella è immaginare nostra figlia a scuola che ride di cuore come fa spesso a casa quando giochiamo. Ho anche imparato che, coi bambini, è un passo avanti e 3 passi indietro (omissis)... Così non saremmo preoccupati se, dopo aver passato la giornata perfetta a scuola, il giorno dopo volesse tornare a casa alle 10. Non lo vivremmo come un fallimento della scuola, degli insegnanti o di noi genitori nel fare di nostra figlia una bambina indipendente.”

Spero che questo post apra un luogo di confronto e discussione: qual è stata la vostra esperienza? Qual è la vostra opinione?

Grazie per i contributi che vorrete gentilmente lasciare. 

venerdì 2 marzo 2012

Letture


Vorrei segnalare due letture interessanti.

Il mensile aam Terra Nuova ha dedicato una bella copertina (mi ha emozionata quando l'ho vista!) e lo speciale del numero di febbraio scorso al tema “Riportiamo il parto a casa”.
Pur non essendo esaustivo, l’articolo fa una breve ed utile panoramica sui possibili luoghi del parto (ospedale, case maternità e casa), offrendo stimoli all’approfondimento.

Su D Repubblica del 4 febbraio scorso, nella rubrica Feel Good!, ho trovato interessante l'intervento dal titolo “GENITORI (NON) SI NASCE” di Daniela Condorelli, che parla di un volume, “Sostenere la genitorialità” (Erickson), di cui Paola Milani (docente di Pedagogia generale e sociale presso l’Università di Padova e direttore del Laboratorio di ricerca e intervento in educazione familiare) ha curato l’edizione italiana.
Il libro offre un kit per sostenere la genitorialità tramite l’individuazione e la valorizzazione delle qualità e risorse dei vari membri del gruppo familiare, nella convinzione che “l’educazione non è una missione da svolgere in solitudine” e che si possa “educare i genitori a fare i genitori”. 


Buon marzo a tutti!

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