martedì 4 febbraio 2014

Giocando si impara!*

Potrebbe sembrare una novità, ma non lo è: GIOCARE è il modo migliore per IMPARARE!
Questa volta a dircelo è Peter Gray, psicologo evoluzionista e ricercatore del Boston College, che ha fatto del gioco il suo oggetto di studio e ricerca.

Le sue teorie prendono le mosse dagli studi pionieristici di Karl Groos – autore di “I giochi degli animali”, 1896, e “I giochi degli uomini”, 1899 – che ha osservato come tutti i cuccioli di mammiferi giochino, e lo facciano tanto più a lungo quanto più sono in alto nella scala evolutiva e vivono quindi in società più complesse, che presuppongono l'apprendimento di un maggior numero di regole sociali.


Gray ha studiato a lungo “la vita dei bambini nelle culture dei popoli di cacciatori-raccoglitori”: in queste società i bambini sono lasciati liberi di giocare dai quattro anni fino alla tarda adolescenza quando, spontaneamente, sentono la necessità di assumere prerogative e responsabilità adulte. Infatti i piccoli tendono ad osservare i grandi e a riprodurre nel gioco le loro attività, al fine di acquisire le competenze necessarie a divenire a loro volta adulti capaci e preparati nella cultura di riferimento.

Avanzando un parallelo con quelle società primitive, che lasciano tempi lunghi di gioco alla propria prole affinché questa abbia il tempo di acquisire le regole sociali e formarsi alla vita, il professore definisce il tempo del gioco libero/non diretto da adulti tra ragazzi come tempo da “cacciatori-raccoglitori”.
Guardando alla sua infanzia, lo studioso afferma che “Quello che ho imparato dalla mia esperienza di cacciatore-raccoglitore è stato più utile per la mia vita da adulto di quello che ho studiato a scuola”, ovvero i giochi di strada tra ragazzi in cui impegnava i pomeriggi e le giornate liberi dagli impegni scolastici sono stati più formativi per la sua persona rispetto alla permanenza nelle aule scolastiche.


Negli Stati Uniti e in molti altri paesi all'inizio del novecento, con la riduzione del lavoro minorile e lo sviluppo urbano ancora agli albori, il gioco infantile era il passatempo principe di quasi tutti i piccoli. Successivamente, dagli anni sessanta in poi, c'è stata una progressiva strutturazione e gestione del tempo dell'infanzia da parte degli adulti che, tra scuola, sport e attività extrascolastiche, ha di fatto privato i bambini della libertà di giocare ed esplorare a modo loro.
Parallelamente i disturbi mentali infantili, associati a stati d'ansia e depressione, sono aumentati dalle cinque alle otto volte, così come la “percentuale dei suicidi tra i giovani tra i 15 e i 24 anni è più che raddoppiata, e quella tra i ragazzi con meno di quindici anni è quadruplicata”.
Basta leggere le cronache per imbattersi in suicidi adolescenziali spesso dovuti ad insuccessi scolastici, che lasciano stupefatti gli adulti, convinti che tutto andasse bene.

Le minori opportunità di gioco sono state accompagnate da una diminuzione dell'empatia e da un aumento del narcisismo”, fattori che impediscono lo sviluppo di sane relazioni interpersonali.

Il gioco, come ho detto altrove, costituisce una vera e propria palestra emozionale, nella quale i bambini possono acquisire le competenze relazionali necessarie a sviluppare una vita sociale soddisfacente. Competenze che, come afferma Gray, non possono essere acquisite a scuola, “perché l'ambiente scolastico è autoritario e non democratico”, detta regole ed esprime giudizi.

Successivamente lo psicologo americano ha osservato “il modo in cui imparano i bambini di una scuola alternativa come la Sudbury valley school.
Questo tipo di scuola, fondata nel 1968, accoglie studenti dai quattro ai diciannove anni, li lascia liberi di fare ciò che preferiscono, non ha classi e impone soltanto il rispetto delle regole basilari dell'istituto per il mantenimento dell'ordine. Gli adulti, “attenti e preparati”, “aiutano e non giudicano”.
Alla Sudbury insomma i piccoli sono liberi di esplorare ed imparare. Il cardine su cui ruota ogni attività di questa scuola è il gioco: “Mentre giocano, gli studenti […] imparano a leggere, a far di conto e a usare i computer […]. Non pensano di apprendere: pensano solo che stanno giocando o 'facendo delle cose', ma nel frattempo imparano”.
Pare infatti che, lasciati liberi di sperimentare e decidere, i ragazzi delle società civilizzate, così come quelli delle società più primitive, scelgano di acquisire le conoscenze necessarie a trovare un buon lavoro e avere una vita soddisfacente.
Capita che in questa istituzione i ragazzi imparino “ad assumersi la responsabilità di se stessi e della comunità”.

Ciò che assimila le tribù di cacciatori-raccoglitori e la Sudbury è il creare “le condizioni fondamentali per sfruttare al massimo le capacità dei bambini di autoeducarsi” nonché “l'aspettativa sociale che l'educazione sia responsabilità dei bambini […]”.

Gray aggiunge “Non mi aspetto di convincere tutti che da un momento all'altro dovremmo abolire le scuole così come sono ora e sostituirle con centri dov'è possibile esplorare e giocare liberamente. Ma forse riuscirò a convincere parecchie persone che giocare fuori dalla scuola è importante”.

Nelle scuole asiatiche, dove i bambini studiano più degli americani e dei nostri, si è notato una forte crisi della creatività e della capacità di relazionarsi positivamente.
A scuola le attività dei bambini sono continuamente giudicate: per questo è il posto meno adatto per esercitare la creatività”. Lo spirito del gioco e l'assenza di giudizio contribuiscono a rendere le persone più creative.


Gray osserva quindi che “Non si può insegnare la creatività, si può solo lasciarla fiorire. I bambini in età prescolare sono naturalmente creativi”.

Molti giovani usciti dalla Sudbury “continuavano a praticare le attività che amavano a scuola con la stessa gioia, passione e creatività di prima, ma ora ci guadagnavano da vivere.”. Questo in una scuola normale non accade perché tutti sono obbligati a fare le stesse cose e anche chi si appassiona ad una materia dovrà cambiare attività al suono della campanella; “I programmi e gli orari impediscono ai ragazzi di coltivare qualsiasi interesse in modo creativo e personale.

Recentemente si è dibattuto della convenienza nell’assegnare o meno i compiti a casa ai ragazzi.
Lo psicologo americano pensa che “Oggi i bambini sono così occupati a fare i compiti o sono così impegnati in altre attività decise dagli adulti che di rado hanno il tempo o l'opportunità di scoprire e d'immergersi completamente in attività che li divertono sul serio”.
A ben vedere, argomenta ancora Gray, l'unica vera competenza utile per vivere bene è andare d'accordo con gli altri. E il solo modo per impararla è il gioco di gruppo.

Il gioco, volontario perché si può entrare e uscire quando si preferisce, presuppone la contrattazione delle regole tra i partecipanti, ma anche il rispetto delle reciproche esigenze affinché gli altri vogliano continuare a giocare. “La regola aurea del gioco di gruppo” è “fai agli altri quello che vorrebbero che tu facessi a loro”.
Nel gioco l'uguaglianza non significa uniformità, ma attribuzione della stessa importanza ai bisogni e ai desideri di tutti.

Il gioco insegna le abilità sociali senza cui la vita sarebbe insopportabile. Ma insegna anche a controllare emozioni negative forti, come la paura e la rabbia.”
Durante il gioco i piccoli sperimentano situazioni di paura e imparano a gestirla, ma è importante che tale esperienza sia spontanea in quanto non tutti sono in grado di far fronte allo stesso tipo di paura. La rabbia conseguente ad azioni giocose viene generalmente accolta e investita in modo costruttivo affinché il gioco possa continuare.

Il mondo dei giochi è la palestra per imparare a diventare adulti. […] Togliendo il gioco, priviamo i bambini della possibilità di esercitarsi a essere adulti e creiamo persone che per tutta la vita si sentiranno vittime e dipendenti, con la sensazione di un'autorità che gli dice cosa fare e risolve i problemi al posto loro. Non è un modo sano di vivere.

E voi cosa ne pensate?


*Questo post fa riferimento all'articolo “Lasciateli giocare” (titolo originale “The play deficit”) di Peter Gray, pubblicato su Internazionale N. 1031 del 2013, da cui sono tratte tutte le citazioni.





2 commenti:

  1. Bello e ricco di spunti questo post, in più ma mi hai fatto venire una voglia di giocare!!

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  2. Buonissimi giochi, allora!
    Grazie e un abbraccione, cara:-))

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