Qualche
giorno fa ho letto in rete che è stato pubblicato un libro, Mamma parla con me di Nancy Cadjan, sull’uso
del linguaggio dei segni con i neonati e comunque per tutto il periodo tra la
nascita e la progressiva acquisizione del linguaggio parlato.
Sono
curiosa di leggere questo testo, perché l’argomento mi lascia perplessa, in
quanto credo che l’uso del linguaggio dei segni, come di ogni altra forma di
linguaggio codificato, presupponga delle capacità logiche che il neonato ancora
non possiede. Ritengo inoltre che il neonato apprenderà il tipo di linguaggio
che gli verrà trasmesso/insegnato.
Sicuramente
sono una grande estimatrice della parola pronunciata e del valore dell’ascolto,
ma è anche noto che il contatto vocale con la madre è fondamentale per il
piccolo fin dalla vita in utero.
In
ogni caso questa notizia mi ha stimolato a fare delle riflessioni che vorrei
condividere.
Innanzitutto
mi ha fatto riprendere in mano un libro bellissimo e interessantissimo che ho
letto all’inizio della gravidanza: La notte uterina di Alfred Tomatis. Partendo dalla fisiologia e neurologia del
sistema uditivo, l’autore - otorinolaringoiatra francese specializzatosi in
ricerche pioneristiche sul rapporto tra ascolto, psicologia e comunicazione,
nonché fondatore dell’audiopsicofonologia o Metodo Tomatis - ci fa
letteralmente entrare nel mondo sonoro del feto che, già dal quarto mese di
gestazione, sarà dotato dell’apparato acustico che gli consentirà di ascoltare
i suoni che abitano il corpo materno, crescere, evolversi e comunicare con la
propria madre e con l’esterno. Il testo puntualizza l’importanza fondamentale
dell’ascolto quale base per la costruzione della relazione primaria e punto di
partenza di una pedagogia improntata ad amore e rispetto.
E’
noto ormai che ciò di cui nutriamo i nostri figli, fin dal loro formarsi nel
ventre materno, non è solo cibo, ma interazione e relazione. Tomatis parla proprio di imprinting linguistico[1],
spiegando che “La voce materna
costituisce, indubbiamente, l’’impasto sonoro’ sul quale si modella il
linguaggio. La madre esprime il suo passato, i suoi sentimenti e, in
particolare, il suo amore attraverso un materiale acustico assai specifico
percepito in modo singolare dal feto, seguendo un processo del quale non
sapremo mai valutare abbastanza il valore.”[2]
E aggiunge “E’ più che evidente che
la trasmissione di vita, attraverso la voce materna, si realizza solo se la
madre, investita della sua maternità, impregnata di questa pienezza, conscia
del suo impegno, può manifestare la sua gioia di vivere, il suo benessere. Per
questo, nel corso della gravidanza, deve vivere in un clima di armonia, in un
ambiente caldo che la renda cosciente di quello che, dentro di sé, si evolve e
si perfeziona.”[3]
E
qui pone l’accento sull’opportunità di vivere la gravidanza con consapevolezza:
“La preparazione della donna in
gravidanza ha un’importanza considerevole perché diventi donatrice di vita e
d’amore. La sua voce sarà, allora, il supporto materiale del messaggio
essenziale indirizzato al bambino per tutto il tempo dell’attesa. A sua volta
il bambino prepara il suo apparato uditivo a ricevere la voce che costituisce
il suono della vita. Di questa voce, percepita al di là del linguaggio,
decantata dal suo contenuto semantico, verbale, non resterà che il timbro
cadenzato, in funzione del ritmo parlato specifico della madre. Questo è il
ritmo che il bambino, alla nascita, riconoscerà fra tutti e ricercherà per
tutta la sua esistenza.”[4] La voce della madre sarà ed è, quindi, la musica che accompagnerà
tutto il nostro percorso in vita di esseri umani.
“[¼]noi chiediamo spesso alle
gestanti di parlare e di cantare al bambino che portano dentro di loro.
Consigliamo anche di provare ad ascoltare quello che il loro piccolo può aver
voglia di esprimere. E’ importante che si instauri un dialogo, un vero dialogo
d’amore, di quell’amore che illumina la voce della madre nella banda
preferenziale in cui si manifesta il suono della vita.
E’ in questa banda molto
speciale che si situa, nella voce della madre, un vero linguaggio, l’unico che
introduce la nozione della vita che la madre porta in sé, al di là di ogni
semantica, di ogni fibra affettiva.”[5]
Poiché
il ricordo non è solo un fatto cerebrale, la memoria di questo dialogo sonoro, dell’armonia
di questa relazione amorosa sarà conservata in tutto il corpo del neonato prima
e dell’adulto poi, così come ogni esperienza che modellerà il suo approccio
alla vita. Su questa, come su altre considerazioni affini, si basa anche molta
pedagogia teatrale, compreso il metodo che io utilizzo nel condurre i miei laboratori.
E’
interessante tener presente che alcune discipline fisiche e mediche credono che
le memorie inscritte sul corpo contribuiranno a determinare lo stato di salute
e le eventuali patologie da cui la persona sarà caratterizzata, piuttosto che
affetta.
In
questo testo sorprendente e multiforme Tomatis esprime una meravigliosa
definizione dell’universo femminile quale portatore di creatività e di vita: “Essere femmina significa portare un
germoglio. Essere donna è portare un bambino. Essere madre è portare un
individuo.”
E
prosegue a proposito l’interazione madre/feto: “La madre deve parlargli, deve imparare a comunicare, a dialogare con
lui. Le basterà lasciar vibrare in sé l’essere per poter trovare le parole
della vita, i canti d’amore diretti a questa parte di sé che si fonde nel
bambino che porta. [¼] E’ dal calore affettivo contenuto in una
voce gradevole e dolce, amorosa e comprensiva che egli saprà cogliere ciò di
cui ha bisogno. Non c’è nulla di complicato, in fondo.”[6]
Sarebbe
molto utile che tanti corsi pre-parto, anche pubblici, fossero improntati a
questo principio basilare, per cui l’ascolto reciproco e attento costituisce il
punto di partenza per la creazione del rapporto primario e per tutti i rapporti
che verranno nel corso della vita.
Sembra
inoltre che l’interazione vocale tra madre e neonato stimoli il piccolo all’apprendimento
della lingua – detta madre, appunto - al fine di poter comunicare in modo
efficace con la mamma. Su questo tema ho acquistato Lingua madre di Dean Falk, che aspetta pazientemente di essere letto.
L’autrice,
direttrice del dipartimento di Antropologia della Florida State University di
Fort Lauderdale e esperta in evoluzione del cervello e neuroanatomia comparata,
analizza il raggiungimento della postura eretta dei nostri progenitori,
avvenuto tra i sette e i cinque milioni di anni fa. A questo evento la studiosa
associa la nascita del linguaggio: in un’era in cui le madri erano costrette a
poggiare in terra i piccoli per raccogliere cibo, l’unico modo per calmare la
loro ansia era l’utilizzo della voce, attraverso l’emissione di vocalizzi,
costituiti da rudimentali sonorità melodiche che si sarebbero successivamente
evolute in una forma di proto linguaggio, e sopravvissute fino a noi attraverso
il maternese, la lingua musicale e
affettiva con cui in tutto il mondo le madri si rivolgono spontaneamente ai
piccoli. E’ proprio per implementare questa comunicazione che il bambino
sviluppa il linguaggio, infatti la Falk ritiene questa «musica parlata» fondamentale per l’apprendimento della lingua e per
la maturazione emotiva e sociale, nonché nello sviluppo di abilità artistiche,
quali il canto, ad esempio. (Dean Falk, Lingua
madre. Cure materne e origini del linguaggio, Bollati Boringhieri Editore,
Torino, 2011)
Sembra
comunque che anche l’acquisizione della postura eretta sia stimolata dal
bisogno di ascoltare e comunicare. Infatti anche Tomatis spiega “Il corpo assume la posizione verticale per
tendere l’orecchio, ed è per diventare un totale orecchio, una sorta di antenna
all’ascolto del linguaggio, che l’uomo si vede dotato di un sistema nervoso che
risponde alla realizzazione di questa funzione.”[7]
L’espressione
dei bisogni del neonato passa notoriamente attraverso il pianto. La madre potrà
imparare a distinguere l’origine del problema affinando l’ascolto e giungendo a
riconoscere le diverse qualità e sonorità del pianto del suo bambino: quello da
fame, quello da sonno, da noia, ecc.
Sarà la sua voce melodiosa e il contatto del suo corpo caldo che
restituiranno serenità e forniranno appagamento al piccolo. Ed è attraverso lo
sviluppo di questa relazione amorosa che il bambino crescerà forte e sicuro.
Personalmente
trovo che la lingua dei segni sia uno strumento molto utile, la cui conoscenza
meriterebbe una maggiore diffusione, soprattutto al fine di limitare ostacoli alla
possibilità di comunicare in caso di difficoltà uditiva e linguistica.
Tuttavia credo che se il neonato sapesse usare i segni allora saprebbe anche
parlare! Insomma non si tratta di un problema di fonazione, ma di immaturità
cognitiva fisiologica.
Ciò
non toglie che tra madre e bambino si sviluppi anche una dinamica gestuale che
completerà e arricchirà l’arcobaleno della loro relazione.
E
voi che cosa ne pensate?
A
presto!
[1] Alfred Tomatis, La notte uterina, Red Edizioni, Milano,
1996, 2009 – red!, Milano, 1996, 2009, pag. 147
[2] Op. cit., pag. 147
[3] Op. cit., pag. 147
[4] Op. cit., pag. 148
[5] Op. cit., pag. 150
[6] Op. cit., pag. 229
[7] Op. cit., pag. 128
Piacere di conoscerti io sono una mamma di gemelle ora hanno 4 anni, mi è piaciuto molto il tuo articolo davvero,credo che il rapporto madre figlio sia veramente speciale d'altronde li portiamo dentro di noi per 9 mesi e una certa simbiosi non si cancella facilmente! un abbraccio
RispondiEliminaCiao Debora,
Eliminabenvenuta nel mio blog!
Sono contenta che il post ti sia piaciuto. Per me non è propriamente una questione di simbiosi. Credo fermamente che instaurare una buona relazione con un/a figlio/a sia il primo passo per farne una persona libera e capace di godere la sua vita.
Buona giornata,
a presto!
:-)
Come sempre un bellissimo articolo ricco di stimoli Anna...
RispondiEliminaIo credo che il parlare ai propri cuccioli in grembo sia la base del rapporto tra genitori e figli... sia l'inizio di tutto ancor prima dell'abbraccio concreto con la nascita. Io e Davide abbiamo sempre parlato molto ad Anna nel pancione, io le ho anche cantato tanto visto che mi piace farlo e lei, ancor prima di nascere riconosceva le nostre voci e dava segnali di gradimento con certe canzoni!
Alla nascita con la mia voce ha subito calmato il pianto e ad un certo punto, mentre mi suturavano un pò, ho chiesto a mio marito di prenderla in braccio perchè mi stavano facendo male... lei ha iniziato a piangere ma non appena Davide ha iniziato a chiamarla per nome lei si è subito calmata, l'aveva riconosciuto!!! Anche il personale medico ne era rimasto colpito!!!
Ringrazierò sempre la mia ostetrica illuminata, conosciuta al corso preparto che mi ha stimolato a vivere con consapevolezza ogni aspetto del divenire madre...
Ciao Valentina e grazie per aver condiviso un momento così intenso ed emozionante!
EliminaUn abbraccio,
a presto!
:-)
Bel articolo! Leggendolo mi è venuta in mente un'immagine: un corpo che si alza e cammina per portare in giro le orecchie, gli occhi e le mani... per incontrare l'altro e nell'altro riconoscersi! :-)
RispondiEliminaCiao Manuela,
Eliminagrazie per la bella immagine che hai suggerito!
Un abbraccio,
a presto!
:-)
Grazie per aver presentato il libro di Tomatis e di Dean Falk. Concordo con te sul fatto che l'utilizzo della lingua dei segni presupponga una maturità cognitiva e gestuale che non è propria del neonato... Il rapporto vocale che si instaura tra madre e bambino sin dal concepimento si somma al linguaggio del corpo in un equilibrio comunicativo che è alla base della loro relazione. Usare la voce è importantissimo: parlare con il piccolo nella pancia, ma anche parlare con il neonato, raccontargli cosa stiamo facendo, cosa proviamo, come stiamo. Qualcuno pensa che i piccoli non capiscono quindi è inutile parlare loro: io credo che questo sia un grave errore che ha alla base il mancato riconoscimento del neonato e del bambino come individui formati e indipendenti.
RispondiEliminaCiao Francesca e grazie per il tuo bel contributo, con il quale concordo pienamente.
EliminaTomatis va anche oltre: afferma che l'individuo è tale nel momento in cui le due cellule si sono unite a formare una nuova entità, e per questo si concentra tanto sull'importanza della relazione anche quando il piccolo è ancora nel grembo materno. Ed è chiaro come questo tipo di approccio faccia la differenza anche alla nascita e nel proseguimento della nuova vita e della relazione.
Un abbraccio,
a presto!
:-)