Io
l’ho sperimentato: far nascere un figlio a casa propria è un’esperienza
eccezionale.
Non
ci sono rumori e voci estranee, non c’è concitazione né luci invadenti, non ci
sono camici bianchi né aghi in vena né bilance.
C’è
la cura personale fornita a voi e al figlio che date alla luce, alla vostra
famiglia, c’è attenzione e rispetto, silenzio e attesa.
C’è
il vostro letto, la vostra doccia o vasca da bagno, il vostro odore e quello
del neonato, ci sono le persone e le cose che amate, con le quali vi sentite a
vostro agio. E c’è tutta la calma necessaria a guardare negli occhi la piccola
creatura appena arrivata.
Per
poter scegliere il parto a domicilio è necessario rispondere a determinati
requisiti, che saranno attentamente valutati dall’ostetrica, tra cui aver avuto
una gravidanza fisiologica e non avere particolari fattori di rischio.
Comunque
ogni donna ha la sua storia e il suo vissuto, per cui ogni scelta è la migliore
per la persona che la fa. Ciò che ritengo di capitale importanza è affrontare
la gravidanza e il parto in consapevolezza – questa è la parola chiave – e con
la conoscenza delle pratiche che desiderate o non desiderate che siano attuate
su voi e/o vostro figlio. A tal fine è molto importante redigere un dettagliato
piano del parto, da consegnare alla struttura prescelta.
Vi
ho già parlato qui dello speciale “Riportiamo il parto a casa”,
pubblicato dal mensile aam Terra Nuova nel numero di febbraio scorso.
Questo
mese la stessa rivista (vi garantisco che non mi pagano…pago io per leggerli tutti i mesi!) si propone
di costruire una mappa del parto a domicilio in Italia e chiede la
collaborazione dei lettori per segnalare professionisti e associazioni che
operano in questo campo.
Per
inoltrare l’informazione si può inviare un’email a info(at)aamterranuova.it con
oggetto “parto a domicilio” o scrivere una lettera alla redazione di Terra
Nuova, Via Ponte di Mezzo 1, 50127 Firenze.
A
me sembra un’iniziativa molto utile!
Nella
stessa rivista è pubblicata la bella e interessante lettera di un’ostetrica che
lavora in ospedale e a domicilio a Modena.
Ne
cito alcuni passi, perché offre preziosi suggerimenti di riflessione:
“Oggi
sui mass-media si preferisce parlare di taglio cesareo, mostrare in diretta una
mamma sorridente che si fa tagliare la pancia senza motivo, un papà che filma
tutto con la telecamera e un neonato affidato immediatamente alle cure del
pediatra e non alle braccia di sua madre. Questo è l’imprinting che la nostra
società industrializzata, per dirla con Odent, offre ai suoi piccoli mammiferi.
[¼]
[¼] molte donne, ma più spesso le loro famiglie, non
sono motivate ad affrontare un parto come natura prevede, fatto di tempo, di
attesa, di incognite, di dolore, di sofferenza, di pausa e contrazione, di
endorfine e ossitocina endogena, di paura, di agitazione, di grida, di pianti e
di gioia per aver dato alla luce la propria creatura. Si vuole tutto e subito.
Molte
donne arrivano in ospedale senza avere la minima idea di cosa significhi avere
un parto naturale, quali siano le risorse del proprio corpo e del legame con il
proprio bambino, ma magari conoscono a memoria il catalogo di questa o quella
marca di passeggini, fasciatoi e vestitini [¼]”
Si
parla molto della donazione delle cellule staminali del cordone e/o della loro
conservazione.
Nel
mio piano del parto avevo scritto chiaramente che non autorizzavo il taglio del
cordone ombelicale finché questo continuava a pulsare.
Ecco
cosa scrive in proposito l’ostetrica citata:
“Ci
sconvolge la priorità degli ultimi tempi di «assicurarsi» la salute futura
tramite la raccolta del sangue cordonale (del cordone ombelicale), che verrà
custodito in una banca estera, pagando un’ingente somma di denaro, confidando
in un’utilità futura. Solo noi ostetriche[1]
cerchiamo invano di far capire che il clampaggio[2]
ritardato del cordone, come prevede il parto naturale, fa sì che quel sangue
tanto prezioso arrivi al neonato alla nascita e che la natura ha previsto
questa «preziosa riserva» proprio per lui.
Si
tratta di un sangue non solo ricco di cellule staminali, ma di ossigeno, ferro,
globuli rossi e ormoni materni importanti per il primo attacco al seno.
Raccogliere quel sangue significa privarne sicuramente a questo punto il
neonato, affinché lo possa avere per un «forse » nel futuro … e non ci sono
evidenze che il sangue cordonale per uso autologo abbia efficacia.”
E
prosegue:
“La
gravidanza e il parto sono stati un business finora, e da poco tempo a questa
parte lo è anche il cordone ombelicale. Questo perché? Le madri del 2000 [¼] sono figlie della società dell’immediato?
Gli
studenti delle scuole dell’obbligo conoscono a menadito l’anatomia e la
fisiologia degli apparati più impensati [¼], ma non sanno,
perché non viene loro spiegato, come nasce un bambino, con quali potenze, con
quali affascinanti meccanismi; non sanno che il latte materno è l’alimento più
completo che esista per un neonato.
Forse
il mistero della nascita e della maternità è ancora tabù.”
Da
protagoniste o no, voi che esperienza avete intorno alla gravidanza e al parto?
Quali
le informazioni che le Asl e/o specialisti privati vi hanno fornito?
A
presto!
[1] Nel mio caso l’ostetrica che teneva il corso
preparto della Asl invitava le future mamme a optare per la donazione delle
cellule staminali del cordone. Alla mia obiezione che in quel modo si privava
il neonato di una risorsa importante, ha risposto che non c’erano evidenze
scientifiche in proposito. (!)
[2] Il clampaggio sarebbe il blocco e successivo
taglio del cordone. Ci sono evidenze scientifiche – clicca qui e qui per info più approfondite e alcune citazioni - che sia utile per la buona
salute del neonato, soprattutto, e della madre, attendere la fine della
pulsazione del cordone prima di eseguire la rescissione.