Martedì
scorso alle 14,30, come ogni giorno dopo aver finito il lavoro, sono
andata a prendere Bicci alla scuola dell'infanzia.
I
bambini erano in giardino a giocare.
Suono
il citofono, una voce mi chiede chi sono, mi apre il cancello, io
percorro il vialetto che mi separa dall'ingresso, firmo il registro
di uscita anticipata e aspetto che mi portino mio figlio chiusa fuori
da una porta a vetri.
Martedì
scorso qualcosa non funziona, io attendo oltre il solito, passano
tante persone, le educatrici le bidelle e la signora della mensa, e
nessuno mi porta Bino. Quando ho visto passare per la terza volta la
bidella che ogni giorno mi riconsegna il piccolo ho bussato
timidamente al vetro per ricordarle la mia presenza. Si è girata e
con un sorriso mi ha assicurato che me lo avrebbero portato subito.
Ma
non arrivava nessuno.
Ho
cominciato a pensare che si fosse fatto male... ho capito che c'era
comunque qualcosa che non andava.
Ad
un certo punto un gruppo di bambini di cinque anni, i più grandi,
sono arrivati di corsa contro il vetro della porta a gridarmi che
Bicci non si trovava, Bicci non c'era più!
Ho
visto nero davanti a me.
Nero.
Senza più alcuna sfumatura di colore o di luce.
Nero
sarebbe l'unico possibile colore senza mio figlio.
Ho
supplicato quei bambini di trovare qualcuno che mi aprisse la porta
di quel bunker senza senso, dal momento che il mio Bicci era sparito.
Sono
passati ancora tanti minuti, tempo di puro terrore. Mi hanno aperto soltanto
dopo aver ritrovato il mio amore, il sole dei miei giorni e delle
notti.
Mi
sono sentita male: il mio spavento si è rotto e disperso in rivoli
di lacrime mentre il mio cuore saltava sconclusionato da una nota
all'altra.
Non
avevo più certezze, né punti di riferimento.
Mi
hanno spiegato che Bicci era nascosto in una risega del giardino
vietata ma non interdetta fisicamente, a cercare un grosso legno –
ha spiegato lui – loro lo chiamavano e lui non rispondeva, perché
occupato o per paura di una punizione per aver sconfinato in una zona
proibita.
Nel
pianto sono solo riuscita a dire alle educatrici che a loro i bambini
non devono uscire dagli occhi.
Non
ho detto altro, tutto il resto l'ho tenuto per me, eccetto lo
spavento che aveva ormai deformato il mio volto.
Le
maestre hanno l'abitudine di sedere sotto il porticato della scuola
mentre i bambini si disperdono nel giardino, che è grande e ha due
aree laterali piccole che da quella posizione non sono visibili.
Non
solo i bambini potrebbero nascondersi, ma potrebbero anche ferirsi
con legni o altri giochi e gli adulti, così distanti, non
arriverebbero in tempo per prestare soccorso e probabilmente non
vedrebbero neanche l'accaduto prima di essere allarmati dal pianto,
ad incidente avvenuto. Che dire se poi qualcuno riuscisse
a prelevare un bambino dalla rete? O se un bambino si arrampicasse e uscisse?
Martedì
scorso gli scenari più nefasti hanno preso possesso della mia mente.
Ho
avuto paura.
Ho
sentito uno strappo di perdita dentro il cuore che mi ha quasi
soffocata.
Io
vado a lavorare la mattina e vorrei che mio figlio rimanesse in un
posto rispettoso e attento dei suoi bisogni e della sua creatività.
Adesso
quando le educatrici mi vedono arrivare a prendere Bicci, si alzano a
turno dal solito posto per illudermi che sorvegliano i bambini più
attentamente.
Io
trovo questo gioco inutile.
Non
ho ancora deciso se andare a parlare con il Dirigente Scolastico. Non
vorrei alimentare polemiche sterili e irrigidire i rapporti, ma io di
queste persone non mi fido già più.
Voi
che cosa fareste?
Vi
abbraccio forte, insieme al mio Bicci!